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My Son, My Son, What Have Ye Done

Regia di Werner Herzog vedi scheda film

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La recensione su My Son, My Son, What Have Ye Done

di giancarlo visitilli
6 stelle

Herzog, Lynch e Tarantino. Il primo dietro la macchina da presa, il secondo, quello visionario di Mulholland drive, alla produzione esecutiva e quello di Pulp fiction, richiamato nella splendida sequenza iniziale del film, che ricorda moltissimo quella del suo stesso capolavoro.

Prendendo ispirazione da un fatto realmente accaduto, il cineasta tedesco racconta una drammatica vicenda, giocando, come sempre, attraverso il buon gusto per l’allegoria, che sta sempre fra finzione dello spettacolo e tragica realtà.

Brad Macallam, un aspirante attore che recita in una tragedia greca, commette nella realtà il crimine che deve mettere in scena sul palcoscenico: uccide la madre. Il film si apre nel momento in cui alcuni agenti di polizia giungono sulla scena di un delitto, trovando una donna anziana in una pozza di sangue. Davanti alla casa sono radunati vicini curiosi e stupefatti. Il presunto colpevole si è barricato in un edificio dall’altra parte della strada tenendo con sé degli ostaggi. Arrivano i due amici cui Brad ha telefonato, ma ormai è troppo tardi. Mentre assieme ai vicini cercano di capire quanto è successo, raccontano la loro storia agli investigatori che si occupano del delitto.

Alternando la narrazione fra presente e flashback, si ricostruisce un puzzle in cui tutto, alla fine, torna, nonostante le continue distrazioni/deviazioni, per mezzo di volatili, “aquile drag queen”, che riempiono ogni inquadratura e qualsiasi paesaggio, urbano o extra. Brad stava dedicando tutto sé stesso alla messa in scena del dramma greco di Oreste, insieme alla fidanzata e all’amico. Mediante il racconto dei vicini di casa, a poco a poco le tessere si incastrano per disvelare un puzzle che mostrerà la motivazione del gesto.

Eccellente il cast, superiore a tutti la lynchiana Grace Zabriskie, e l’utilizzo di alcuni brani musicali, sincopati e lenti, che nell’insieme riescono a dimostrare come il cineasta tedesco abbia trovato agio nelle atmosfere lynchiane, tra l’altro mai così reali, sebbene sempre al confine fra razionalità e follia.

Si tratta, comunque, di un piccolo film, un divertissement, rispetto ad altri capolavori di Herzog, pur pieno di cose preziose. Resta l’interessante intuizione della ricerca di protezione da un mondo che ha perso le coordinate, dove è possibile che si verifichi l’attesa, da parte di un pallone da basket, di un bambino di talento. Lo stesso tragico eroe dei nostri giorni, vittima di sentimenti senza tempo e di un destino ineluttabile.

Giancarlo Visitilli

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