Regia di Adam Elliot vedi scheda film
Eccessivamente cupo, si risolleva in un finale aperto alla speranza.
E’ ambientato fra gli anni ’70 e gli anni ’90, ma Mary and Max sembra proprio anticipare certe rovinose derive nei rapporti interpersonali della nostra società attuale, non so nemmeno quanto volontariamente. Si tratta in apparenza del racconto positivo di un’amicizia epistolare che attraversa il corso degli anni, sostenendo i due amici di penna, una bambina australiana bruttina e un disadattato newyorchese obeso nelle difficili prove della loro vita. Tuttavia è immediato rendersi conto che il loro carteggio è basato più su un vicendevole e vano commiserarsi per via delle proprie disgrazie, che su un’effettiva volontà di superamento dello status quo. L’intera pellicola è pervasa di un micidiale pessimismo ateo, il quale non concede spazi per un futuro migliore o diverso. La stessa soluzione che il melanconico Max sembra trovare, quella del tenersi i difetti e viverci sopra, affonda le radici nella deleteria dottrina dell’autoaccettazione che proprio nel nostro presente tanto successo sta riscuotendo. E’ ormai tutto un fiorire di slogan da Baci Perugina della fatta di “sii te stesso”. “vivi la vita come vuoi”, “non dovere nulla a nessuno”. E non sorprende pertanto che il pervicacemente ateo e disperato Max opti proprio per questo sereno e comodo trascinarsi, uguale identico al trascinarsi di prima, ma suggellato dalla consapevolezza di stare facendo la cosa giusta. Mary d’altra parte spende i suoi risparmi su una chirurgia plastica che le tolga l’antiestetica voglia che le deturpa il viso. Poi si sposa (venendo lasciata), e cerca soddisfazione nella sua ricerca come psicologa (perdendo l’amicizia di Max, che si offende per essere divenuto oggetto dei suoi studi), e viene pertanto sempre frustrata. Abbiamo pertanto Max che si adegua alla sua condizione, e Mary che invece non riesce ad essere felice, forse perché non cerca la felicità là dove dovrebbe. Individui soli, immersi un monadismo incorruttibile e distruttivo. Soltanto verso il finale la Provvidenza sembra intervenire nel disegno caotico dell’opera e infonde a Mary nuova vita - doppiamente, poiché la salva dal suicidio e le fa dono di un figlio - e iniziandola al primo istante di vera felicità, nell’eccellente sequenza finale.
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