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Mary and Max

Regia di Adam Elliot vedi scheda film

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La recensione su Mary and Max

di barabbovich
10 stelle

La lunga amicizia epistolare, durata oltre 3 lustri e cominciata nel 1976, tra Mary, una bambina australiana di 8 anni, e Max, un 44enne americano affetto dalla sindrome di Asperger. È la storia di due solitudini accomunate dalla passione per il cioccolato e per alcuni pupazzetti chiamati Noblets. Max è un ebreo ateo obeso, frequenta il gruppo di autoaiuto dei Mangioni Anonimi, vive in una New York in bianco e nero, ama parole come unguento, bomboape, Vladivostok, banana e testicolo e ne ha inventate di nuove come conflesso (quando uno è confuso e perplesso allo stesso tempo) nevango (quando la neve si mescola con il fango della strada ) e splattelle, che sarebbero i cibi schiacciati che trovi in fondo al sacchetto (da applausi il lavoro compiuto dai traduttori). Mary vive in una cittadina polverosa dalla netta dominante ocra, con una madre alcolizzata e repressiva e un padre che divide il suo tempo tra la catena di montaggio dove attacca i fili alle bustine da tè e il passatempo come tassidermista. È invaghita di un vicino di casa balbuziente e ha l'attitudine a porsi domande eterodosse degne di Salinger ("alle oche viene la pelle d'oca?" o "se un taxi va all'indietro, l'autista ti deve dei soldi?"). Nelle buste e nei plichi che circolano tra i due continenti, Mary e Max si scambiano di tutto, dalla bottiglietta con le lacrime (che Max, per quanto si possa sforzare, non riesce a produrre) alle fette di torta al cioccolato. Al suo primo lungometraggio dopo alcuni corti pluripremiati, l'australiano Adam Elliot firma tutto da solo un film d'animazione in stop motion (potrebbe sembrare lo spunto narrativo di 84 Charing Cross road girato come se fosse Wallace & Gromit) che è un capolavoro di grazia, poesia, intuizioni acutissime. In esso trovano cittadinanza riflessioni sulla malattia, la solitudine, il linguaggio, l'ecologia, il bullismo e altro ancora in una sceneggiatura che riesce ad essere perfettamente armonica senza dare il minimo sentore di forzatura. Alla potenza dei contenuti corrispondono le scelte felicissime della forma (con la sostanziale eliminazione del colore dai mondi dei due personaggi), una cura encomiabile per i personaggi di contorno (dal dirimpettaio agorafobico di Mary al gatto di Max col l'alitosi), in un tripudio di invenzioni ad altissimo tasso lirico. Come se non bastasse, a ornare il tutto c'è la musica della Penguin Cafe Orchestra e la voce davvero straordinaria di Philip Seymour Hoffman, che ci ricorda quale grandissimo interprete abbiamo perso anche sotto il profilo vocale.

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