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Benvenuti al Sud

Regia di Luca Miniero vedi scheda film

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La recensione su Benvenuti al Sud

di OGM
4 stelle

Comicità spicciola, e pure di seconda mano. L'unico pregio del film è la sua capacità di dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che i canoni estetici e mentali d'oltralpe non si applicano alla situazione nostrana: se in Francia vige ancora (forse), nell'immaginario collettivo, la suddivisione del territorio in due zone, Parigi e la province, l'Italia dei terroni e polentoni è ormai una macchietta scaricata anche dalla storia, e consegnata alle opache memorie dell'avanspettacolo. Sotto il cerone d'antan, gli stereotipi del milanese paranoico e stacanovista e del napoletano confusionario e scansafatiche non riescono più a farci ridere, ma nemmeno più ad irritarci, perché ci appaiono, semplicemente, come scontati sintomi di una desolante  povertà di idee. La mancanza di originalità, in questo deprimente remake di "Bienvenue chez le Ch'tis", si spinge al punto da mettere in bocca, agli abitanti di Castellabate, un detto popolare inesistente ("Un forestiero al sud piange due volte: quando arriva e quando parte") che è la mera traduzione letterale della frase in dialetto ch'timi citata nel film di Dany Boon  ("Dans ch'nord tu pleures deux fois : eul première in narrivant, et l'chegonde, pasqué tu veux pu arpartir!). Sembra paradossale concepire un'opera che si vorrebbe intrisa di italianità e di colore mediterraneo, e ben calata nell'attualità del nostro Paese, tenendo lo sguardo fisso altrove, verso luoghi lontani nello spazio e nel tempo. Eppure, evidentemente, a qualcuno piace sguazzare in queste favole neoromantiche da commedia in vernacolo, dove i problemi veri non trovano dimora, e le storie iniziano tra paure, equivoci ed incomprensioni per finire in un generale vogliamoci bene. In questo Benvenuti al Sud non c'è dunque inventiva, né autenticità, né tanto meno poesia, perché tutto si inquadra in una cornice di banalità posticcia e  schematica, tra battute telefonate e gag da vecchia antologia del varietà: insomma, una beata rassegna del nulla, impacchettata nella solita confezione da pronto consumo.

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