Regia di Maya Deren vedi scheda film
Lo spazio c'è, anche se non si vede. A renderlo percettibile sono, ancora una volta, la musica ed il movimento. Quest'ultimo, in questo cortometraggio, è il moto apparente delle luci prodotto da un obiettivo o un occhio che percorre rapidamente un cielo stellato. A questo si aggiungono i sogni, che riempiono la notte di forme animate. Il buio è il regno della libertà: non esistendo punti di riferimento, né direzioni privilegiate, sparisce la distinzione tra sopra e sotto, tra vicino e lontano, tant'è che anche la forza di gravità, come nelle regioni vuote del cosmo, perde l'orientamento e smette di agire. La danza di "The Very Eye of Night" è una coreografia interpretata da sagome prive di tridimensionalità e senza contorni, descritte unicamente da un sistema di ombre bianche e nere, come nel negativo di una foto. Sono anonime figure geometriche che ruotano e traslano attraverso lo schermo, come omini di carta trascinati su un piano, in una armoniosa fantasia onirica. L'assenza di scenario, di individualità dei personaggi e di contesto narrativo, fa sì che l'espressività sia affidata unicamente al movimento, che è completamente svincolato da finalità recitative, e che quindi – secondo la poetica di Maya Deren – è colto, semplicemente, nel suo puro atto di tracciare disegni astratti. La danza diventa così una sorta di melodia per lo sguardo che, come la musica strumentale, non è composta per raccontare o descrivere, ma solo per evocare, parlando direttamente alle emozioni, e inducendo la mente a fantasticare. Questo "fantasticare" ha però più la natura di una creatività metodica, che non quella di un delirio a briglia sciolta. L'equilibrio è infatti la caratteristica preponderante nelle figure di questa coreografia. E l'equilibrio è, per la fisica, ciò che la simmetria è per la geometria: compostezza e stabilità che costituiscono, insieme, il carattere duraturo e nobile della bellezza.
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