Regia di Maya Deren vedi scheda film
Questo cortometraggio, dall'asciutta intensità scenica, propone il movimento come ritmo del pensiero, che la fisicità rende visibile attraverso gli spostamenti d'aria (la cintura svolazzante, i fendenti della spada) e le variazioni di luce (il gioco d'ombre sulle pareti). La telecamera rimane, perlopiù, ferma e distante, perché il soggetto della ripresa non è l'uomo, bensì lo spazio vuoto con i suoi connotati, ossia i cambiamenti che in esso vengono prodotti da una presenza animata. La danza traccia intorno a sé molteplici contorni, e in questo modo fa esistere le forme; e poco importa l'ordine in cui quelle linee sono state disegnate. Ciò spiega la perfetta reversibilità del tempo (la pellicola, in questo film, gira anche al contrario): un cerchio è sempre un cerchio, sia che lo si percorra in senso orario o antiorario, ed i diversi modi di descriverlo sono solo tante interpretazioni equivalenti della medesima rotondità. Lo spazio dunque, e non il tempo, è il criterio generale a cui si deve rapportare la realtà della storia umana, anche quella della vita interiore, che le scienze orientali collegano, difatti, alla fisiologia e alla dinamicità del corpo.
[Grazie a Carlos Brigante e a Kotrab per le preziose segnalazioni e le loro recensioni delle opere di Maya Deren]
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