Regia di Alessandro D'Alatri vedi scheda film
Tratto con molta fedeltà dal (già modesto) romanzo “In bilico sul mare” di Anna Pavignano, anche sceneggiatrice con il regista (avevano già firmato insieme lo script di “Casomai”), l’opera numero sette per il cinema di Alessandro D’Alatri, accostabile, per temi, spirito e messa in scena, al dittico girato con Fabio Volo (una storia d’amore inserita in un contesto dalle forti implicazioni sociali), è un timido passo avanti rispetto al deprecabile “Commediasexi” ma non raggiunge la freschezza e la spontaneità di “Casomai” (“La febbre” già evidenziava più di un limite).
Quello che stona, in particolare, è la posticcia tematica del lavoro nero, dello sfruttamento degli immigrati e delle morti bianche (il finale, in questo senso, è davvero bruttino, inadeguato e fuori luogo), affrontata con superficialità ed approssimazione, un semplice ed innocuo accenno a inizio e fine film, senza un significativo ed elaborato contatto con il resto della storia. La vicenda romantica che coinvolge il giovane Salvatore (muratore d’inverno, barcaiolo per turisti d’estate sull’Isola di Ventotene) e la genovese Martina, al di là di ripetute ed inevitabili banalità, didascaliche sottolineature affidate a patetiche frasi di dialogo (“Tu ci credi all’amore?” chiede al protagonista una turista, moglie annoiata e rassegnata), tutto sommato può anche essere digeribile, più per merito del figlio d’arte Dario Castiglio (funzionale e simpatico, forse sarebbe stato più redditizio per il film concentrarsi sul suo intrigante e più sfaccettato personaggio) che dell’acerba Martina Codecasa (fredda e piuttosto distaccata, persino antipatica, il che è un difetto non indifferente per una love story, perché impedisce una vera identificazione emotiva).
D’Alatri gira al solito in modo agile (il digitale deve avere aiutato parecchio), esalta il fantastico scenario naturale senza peraltro evitare il tipico effetto cartolina, si sforza di trattare argomenti attuali come la difficile condizione lavorativa nel sud Italia ma anche la precaria esistenza di chi abita e vive su un’isola, ben sintetizzata dalla simpatica ammissione di Salvatore “Non mi è mai piaciuto fare una vita con un lato invernale e uno estivo: mi sembra di essere un materasso!”. Purtroppo il suo film, popolato da personaggi abbastanza anonimi e inconsistenti, molto vicini alla macchietta (dalla amorevole madre del protagonista al suo buffo migliore amico, una sorta di piccolo Massimo Troisi, soprattutto per la parlata) si discosta poco da un qualsiasi Veronesi (ogni riferimento all’immondo “Che ne sarà di noi” è voluto), incespica qua e là in discutibili cadute di gusto (il protagonista alle prese con due disinibite ragazze, secondo un immaginario erotico piuttosto stantio o l’amplesso notturno sotto i fuochi d’artificio per la festa del patrono isolano Santa Candida) e si limita ad una descrizione a tratti realistica, mai comunque irritante o insopportabile, ma a conti fatti infantile e semplicistica del solito illusorio amore “fatto di desiderio, fiducia e sincerità” destinato a durare una sola estate tra palpiti, smarrimenti, delusioni, silenzi, attese, digiuni, depressioni, notti insonni e notti sulla spiaggia, dolci tramonti in barca, immersioni romantiche, sospiri, sms e abbandoni. Poteva essere un bel mix tra “La promesse” dei Dardenne e “Racconto d’estate” di Rhomer, ma evidentemente D’Alatri non ha la dura lucidità dei primi né la delicata sensibilità del secondo così che il suo film resta sospeso, incerto e confuso, tra sterile impegno, stanco e vuoto intrattenimento, senza riuscire così a trovare un suo vero pubblico di riferimento che, evidentemente spiazzato, ha disertato con puntualità le sale decretando il fragoroso flop del film stesso.
Voto: 5
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta