Regia di Alessandro D'Alatri vedi scheda film
E’ un’altra storia di affetti quella di Sul mare, firmata da Alessandro D’Alatri. L’ennesima, si potrebbe pensare dell’autore del celebre Casomai, ma anche de La febbre, I Giardini dell’Eden, Senza pelle, tutti film diversi eppure, a ben vedere, accomunati da uno stesso centro affettivo che pare dominare, addirittura sostenere la vita dei diversi protagonisti. Insomma: Casomai era la cronaca realistica di una coppia baldanzosa prossima alle nozze; La febbre raccontava di un piccolo uomo di provincia in cerca di una stabilità lavorativa e sentimentale e anche i due film con protagonista Kim Rossi Stuart, pur differenti, I giardini dell’Eden e Senza pelle, avevano il proprio baricentro proprio sull’interiorità, sull’anima affettiva, sui legami. Non fa eccezione Sul mare, quasi un film esemplare da questo punto di vista. E’ la cronaca, dal taglio molto realistico, della nascita e della crescita di un amore giovanile, pieno di desiderio e di speranza, ma destinato a non durare. Il film è diseguale sia da un punto di vista prettamente tecnico sia dal punto di vista della sceneggiatura e della trattazione dei personaggi. Tecnicamente, il lavoro di D’Alatri è nel complesso notevole perché girato in assoluta economia, con una troupe scarsissima e quasi totalmente in esterni, gli splendidi squarci di Ventotene. La precisione e soprattutto l’agilità del digitale con cui il film è interamente girato, consente a D’Alatri di realizzare alcune sequenze molto suggestive, come quelle sulla barca del protagonista o addirittura quelle subacquee in notturna, impensabili con la tecnica tradizionale; d’altro canto alcune sequenze, soprattutto quelle d’’azione’, sono poco curate e poco verosimili. D’Alatri, possiede dei buoni fondamenti di tecnica, ma a differenza di altri registi della sua generazione non si rifugia nel virtuosismo sterile, cercando piuttosto di dare corpo ai paesaggi e alla natura davvero incantevole dei luoghi. E ci riesce, almeno in parte: il ragazzo protagonista, Dario Castiglio, attorno a cui di fatto è costruita tutta la storia d’innamoramento in un’ottica maschile, è giovane, aitante ed efficace. Soprattutto è un volto assolutamente nuovo e appare spontaneo, decisamente in parte. Meno bene, lei, Martina Codecasa, altro volto giovane e nuovo, però troppo rigida e fredda, forse perché alle prese con un personaggio meno ricco e meno scavato. Bene anche le figure di contorno: più centrate e interessanti la madre e il padre del ragazzo, divisi, soprattutto la mamma, tra le preoccupazioni per la salute del ragazzo e il suo desiderio di felicità; poco più che spalle gli amici. La sceneggiatura dello stesso regista da un romanzo di Anna Pavignano, al di là di alcuni momenti didascalici e personaggi troppo costruiti, regala dei buoni momenti: l’opposizione tra un Nord introverso, problematico e chiuso e un Sud solare, aperto e positivo non sarà forse la cosa più originale che sia mai stata mostrata in un film d’amore, ma funziona e cattura l’attenzione dello spettatore. Inoltre, colpisce la tensione di Salvatore, il protagonista, una tensione quasi innata per il bene, per il bello, per un nuovo mondo, fatto di affetti, di interiorità e di speranza che prima dell’arrivo imprevisto di lei, semplicemente non esisteva. Ci piace questo modo di guardare all’amore e ci piace anche la simpatia con cui il regista guarda a un personaggio così verace e propositivo; ci piace perché è insolito, controcorrente ma vero almeno per chi ha conosciuto in prima persona l’esperienza di un amore grande. E nonostante la chiusura sia inadeguata e tragica (anche, ahinoi, da un punto di vista cinematografico), nonostante il registro sociale toccato dal film sia poco più che una cornice, per quanto dolorosa, l’amore raccontato da D’Alatri è qualcosa che forse non durerà più di una stagione, ma è qualcosa di veramente serio, che ha a che fare con l’unità della persona, cervello, cuore e il cui orizzonte va ben oltre la cintola. Insomma, come dice a un certo punto Salvatore: l’amore è desiderio, fiducia, sincerità. E, aggiungiamo noi, attesa.
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