Regia di Ferzan Özpetek vedi scheda film
I film di Ozpetek sono uno fra i motivi per cui la massa in Italia vota per partiti dichiaratamente razzisti ed omofobi. Tralasciando il palese calo di ispirazione che soffre il regista (non se ne può più di vedere delle storie di omosessuali che devono strenuamente lottare per far capire al mondo che sono sani e normali: Ozpetek, i tuoi film sono tutti uguali!), rimane un punto fermo nell'Ozpetek-pensiero che è controproducente, dannoso anzichè favorevole, verso l'emancipazione sociale degli omosessuali. Ovvero, in parole povere, l'idea del gay-vittima. A nessuno piacciono le vittime: e i personaggi dei film del regista di origine turca sono indifesi e sfortunati, perennemente vessati dal destino, torturati psicologicamente dalle famiglie, dai colleghi e dalle conoscenze quotidiane, da tutta questa gente di mentalità chiusa e convinta della diversità fra omo ed etero. Ma lamentarsi non serve a nulla: una volta inquadrata la situazione (Ozpetek lo fa dal 1997, anno del suo primo film, Il bagno turco), perchè non dirci qualcosa di più sulla problematica? No, siamo ancora fermi al punto di partenza: "noi gay". La maniera migliore per creare una reale diversità, una distanza con il mondo 'etero': fomentare l'idea che esistano due culture diverse, sviluppatesi parallelamente e mai conciliabili. Chi è il razzista ora? Altro problema non secondario: perchè i gay di Mine vaganti (e non solo, ovviamente) sono belli, muscolosi e simpatici? Tutti, nessuno escluso. Fa rabbia. E porta a chiedersi: ma io, che sono un povero, stolto eterosessuale e mi ritrovo ad avere a che fare con le donne, notoriamente persone normali, alcune pure brutte e stupide... dove ho sbagliato? (Si rigiri pure la domanda al femminile, considerando gli uomini medi bruttini o stupidi: il concetto è il medesimo). Fortunatamente lo spettatore con un briciolo di mentalità critica esce dalla visione di Mine vaganti con l'idea di aver visto un film sostanzialmente belloccio (Ozpetek non è certo uno sprovveduto ed ha dalla sua un cast tecnico discreto, nel quale spiccano la fotografia di Maurizio Calvesi e le musiche di Pasquale Catalano), ma scialbo nei contenuti, preoccupantemente vecchio, inattuale, sbilenco nella prospettiva; sfortunatamente altrettanto, lo spettatore che non si pone troppe domande alla fine di un film come questo esce dal cinema e tira dritto alla sezione più vicina della Lega nord a tesserarsi. 4,5/10.
Tommaso, laureatosi in economia a Roma, torna a Lecce, dove la sua famiglia vive ed ha un pastificio. Trova il coraggio di confessare al fratello la sua omosessualità, ma il fratello a tavola decide di confessare la propria. Il padre ha un infarto e lo disereda: Tommaso capisce che è meglio fingersi etero. A questo punto tutti gli amici gay di Roma improvvisamente vengono a trovare Tommaso, che si sente un attimo in imbarazzo. Poi la nonna muore.
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