Regia di Valerio Mieli vedi scheda film
L' enorme distesa piatta fatta di nulla, dentro e attorno Mosca, è ricoperta di neve. I rumori della città sembrano lontani. Tra gli alberi, un percorso illuminato conduce ad una dacia dove si sta festeggiando il matrimonio di Ljubov' detta Ljuba (come dire agapé). Ci sono anche gli amici italiani, quelli dei tempi dell'università a Venezia. Uno fra questi si mette al piano e dedica agli sposi una canzone:
Parla piano e poi / non dire quel che hai detto gia' / le bugie non invecchiano / sulle tue labbra aiutano / tanto poi / è un'altra solitudine specchiata / scordiamoci di attendere / il volto per rimpiangere / Parla ancora e poi / dimmi quel che non mi dirai / versami il veleno di / quel che hai fatto prima? / su di noi / il tempo ha gia' giocato ha gia' scherzato / ora non rimane che / provar la verita' / Che ti da' che ti da' / nascondere negli angoli / dire non dire / il gusto di tradire una stagione / sopra il volto tuo / pago il pegno di / volere ancora avere / ammalarmi di te / raccontandoti di me / Quando ami qualcuno / meglio amarlo davvero e del tutto / o non prenderlo affatto / dove hai tenuto nascosto / finora chi sei? / cercare mostrare provare una parte di sé / un paradiso di bugie / La verita' non si sa non si sa... / come riconoscerla / cercarla nascosta / nelle tasche i cassetti il telefono / Che ti da' che mi da' / cercare dietro gli angoli / celare i pensieri / morire da soli / in un'alchimia di desideri / sopra il volto tuo / pago il pegno di / rinunciare a me / non sapendo dividere / dividermi con te / Che ti da' che mi da' / affidarsi a te / non fidandomi di me.../ Sopra il volto tuo / pago il pegno di / rinunciare a noi / dividerti soltanto / nel volto del ricordo.
Tra gli invitati c'è allegria. Si beve molto. Camilla e Silvestro si guardano. Forse lui pensa che quella canzone sia stata scritta proprio per loro due: che hanno rinunciato a sé stessi, non sapendosi però dividere. Affidandosi ma non fidandosi. Forse lei pensa che quella canzone sia stata scritta proprio per loro due: per dire ciò che non diranno, continuando a nascondere la verità dietro gli angoli, celando i pensieri. Si avvicinano, si sfiorano: ""La cosa migliore che possiamo fare è ballare. E se ci prendono per pazzi, Signor Coniglio? Lei conosce saggi felici? Ha ragione. Balliamo!" (Lewis Carrol). Accennano dei passi timidi: Silvestro solo ora ha capito che quando ami qualcuno, meglio amarlo davvero e del tutto. Lo sussurrerà. Ma Camilla aspetta un figlio: non morirà da sola, in un'alchimia di desideri. Un figlio è sempre una benedizione: è la vita che si rigenera al di là della sofferenza. Il nostro pezzo di eternità, la speranza di assoluto in un mondo di errori e di distrazioni.
"Dieci inverni" è tutto qui: in una canzone. Una storia comune, ma non banale. Di due essere umani che si incontrano, si riconoscono ma che la vita porterà altrove in un rincorrersi sempre in tempi e spazi sbagliati. Congelati vuoi dalla paura, vuoi dalla volontà di imporsi al fato, o alla casualità che ci governa. Rinchiudere un rapporto in un solo, unico, sostantivo a volte risulta quasi impossibile ed avvilente. Chiamare i sentimenti con il proprio nome, distinguerli nel caos del divenire e gridarli, richiede un atto di fede in sé stessi e verso l'altro che i più chiamano maturità. Ci vuole un'intera esistenza per arrivarci. Capita, che non ci si arrivi mai.
Camilla giunge a Venezia dalla Valdobbiadene per iscriversi all'università e studiare lingua e letteratura russa, con un percorso precostituito verso il teatro, Anton Pavlovic Cechov, chi se no? Come la lingua che si sta apprestando a scoprire lei è chiusa in sé stessa, meticolosa e precisa, applica regole, lascia poco spazio alla fantasia lessicale, è sempre stata così e sempre sarà, come qualcun altro ha scelto per lei.
Anche Silvestro approda a Venezia per studiare ma le sue idee sono assai più confuse. Si iscriverà ad una qualche facoltà, poi. Nel frattempo insegue la ragazza nella sua casetta senza riscaldamento (immaginata su un'isola, in verità è vicino all'Arsenale): è colpo di fulmine? Forse sì. Ma nella realtà dei fatti, per ritrosia soprattutto femminile, no.
Però la città è piccola piccola. Alla fine ci si ritrova sempre: tra feste, mercati, incidenti in barca, spritz, amici comuni i due si girano attorno. Vanno e vengono, lasciando grandi respiri primaverili ed estivi, che lo spettatore può immaginare. La laguna è nebbiosa, piatta e grigia, a tratti coperta di neve: il freddo tempra, si sa. Rinchiude in luoghi stretti, dove ci si può concentrare: la ragazza insegue l'inverno a Mosca. Ma quando non ci si mette il caso, sono i due protagonisti a strizzare gli accadimenti: Silvestro vola in Russia per rivedere Camilla. Ma Camilla è fidanzata. Camilla ritorna a Venezia a convivere con Silvestro, ma Silvestro ha un'avventura e salta in padella le lumache (tremendo. Mangiarsele. Con un'altra donna, per di più. Tremendo.)
L'esperienza insegna a non tenere nascosti chi si è, almeno a sé stessi! La verità non si sa come riconoscerla, cercarla, nascosta nelle tasche, i cassetto, il telefono. Servirà una depressione per convincere la ragazza di avere sbagliato molto. Ma non ancora Silvestro, spaventato.
Il paradiso di bugie si dipanerà in un marzo piovoso dove, forse, finalmente i due ammetteranno di essersi ammalati raccontandosi. O forse no. La mdp si allontana dolcemente dai due corpi uniti.
Valerio Mieli firma la regia, ed in parte la sceneggiatura, di questo lungometraggio dalle movenze lente, i toni appena accennati, i colori freddi, i silenzi che contano laddove le parole sono sempre di troppo. La scansione cronologica segna scelte tecniche "tradizionali" per la commedia/dramma sentimentale (inquadrature, recitazione, montaggio: tutto molto "nella norma". Nessun effetto speciale se non forse il grandangolo in una delle scene finali più belle, quella del mancato incontro). A tratti un po' ingenuo (la figlia "Costanza", la definizione poco convincente dei personaggi di contorno, alcune coincidenze forzate, l'assenza di praticità nella mancata cornice lavorativa ....) in generale, però, convince. E lo fa nella scrittura dei personaggi, a cui si si affeziona subito: credibili e vivi, per fortuna lontani dagli stereotipi soprattutto italici. Imperfetti e dibattuti, spaventati e spavaldi, vengono seguiti con affetto, ma delineati con distacco, nel corso del loro evolversi e involversi per ritornare sempre uguali a sé stessi al finale che è lì dove c'era l'inizio. Solo, vissuto diversamente. In mezzo, dieci anni. Per un nuovo inizio. O forse no. Perché la vita è un fluire scomposto di accidenti, ma la sostanza siamo noi.
Splendide le locations: una Venezia operaia e portuale, fatta di piazzette nascoste, di chiese, e di appartamentini sgangherati e costosissimi. Ed una magica Mosca come solo la potrebbero vedere gli occhi di una studentessa innamorata di Cechov. I giadini innevati, il pattinaggio, la troika, i vestiti e i canti tradizionali, una vecchia amica sfrontata che cammina con i tacchi nel prato ed indossa un abito da sposa troppo corto che lascia in bella vista calze bianche ricamate, case nel bosco dagli interni di legno, i tetti d'oro che spuntano dalle mura rosse del Cremlino (la prima inquadratura sulla città è proprio quella).
Su tutto un sonoro sorprendente (a partire dalla canzone di Capossela, come fosse un vero matrimonio) fatto di vuoti, o finti tali. E una colonna sonora toccante, con un tema tanto semplice e ripetitivo (affidato soprattutto al pianoforte, ma orchestrato anche con gli archi) quanto preciso nel sottolineare tutti i momenti significativi di questo film che non vive certo di azioni o grandi eventi. Ma che riesce a farsi bello proprio attraverso i moti impercettibili degli animi.
"Dieci inverni" non è un film d'amore. Ma un film sull'amore, che a volte ha paura a chiamarsi tale e si aspetta, si prova, si ispira, si perde, si sfilaccia, si dimentica, si sostituisce, si confonde, si distrugge. Ma se c'è, resta. Se non c'è, beh, allora è tutta un'altra storia.
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