Regia di Valerio Mieli vedi scheda film
Cosa cerchiamo in un film che parla d’amore: è questa la domanda che sorge spontanea dopo aver visto l’ultimo film di Valerio Mieli. La questione potrebbe sembrare scontata e forse lo è, ma di fronte ad un'opera che mette in scena tutti i “must” di un gioventù precaria ed in cerca di identità, è necessario togliere di mezzo inutili distrazioni e concentrarsi sul cuore del problema. Ebbene, io direi proprio l’Amore o meglio, lo stato d’animo che lo rende credibile anche in presenza di una storia non particolarmente originale e che in parte ricalca nella forma (la relazione tra i due protagonisti divisa in più atti sviluppati nel corso di arco di tempo predeterminato, i dieci inverni appunto) ma anche nella sostanza (anche qui seppur con qualche variazione il trasporto amoroso è segnato dall’assenza di stabilità e soggetto a variabili incalcolabili) l’approccio di un caposaldo del genere quale “Un amore” di Gian Luca Maria Tavarelli.
Ma in questo caso, forse per una capacità di mezzi che il film di riferimento non aveva e che invece Mieli dimostra di saper sfruttare senza eccessi, mettendo a disposizione degli attori una location illuminata in tutta la sua malinconica bellezza e pronta a rispecchiare nelle nebbie del paesaggio veneziano le reticenze verbali
di una coppia che ha paura di innamorarsi, ne risulta un opera capace di uscire dalle estasi cinefile senza per questo farsi risucchiare dal facile ritorno di carinerie così in voga nel cinema di questo genere.
Continuamente in bilico tra affollamenti da “appartamento spagnolo”, adatti alla delicata guasconeria di Silvestro ed intimismi da teatro cechoviano, perfettamente calibrati alla personalità di Camilla, studentessa di letteratura russa e come le eroine di quei romanzi immersa in una tempesta di sentimenti indicibili, Dieci Inverni deve la sua empatia alla totale immedesimazione dei due attori, calati dentro i rispettivi personaggi con una spontaneità talmente genuina da far sembrare certe scene il resoconto di un diario personale. Buffi nella loro indecisione caratteriali, Silvestro e Camilla (Michele Riondino e Isabella Ragonese) sono restituiti con precisione barometrica nell’inadeguatezze tipiche dell’età di formazione, così come negli slanci impacciati di chi teme di non essere all’altezza.
Privilegiando una recitazione affidata ai mezzi toni e concentrata soprattutto nel cogliere i mutamenti dell’animo, Mieli ignora volutamente i corpi, altrove griffati e modaioli, ed affida al linguaggio dei gesti e dello sguardo il compito di farci partecipare all’evoluzione di una vicenda, che proprio nella sua conclusione si concede un colpo di coda un po’ scontato ma che in fondo rende giustizia ai motivi di ogni innamoramento.
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