Regia di Pupi Avati vedi scheda film
Forse è il primo film ad avere come protagonista uno studente sfigatissimo del DAMS di Bologna, non è il primo di Pupi Avati a godere di un copione romanzesco che vede Christian De Sica nei panni di un immobiliarista tangentista (esplicitamente ispirato alla cronaca) cedere tutta la sua holding, e una vastità illimitata di milioni di debito - nel disperato tentativo di evitare il carcere - a un figlio che ha abbandonato decenni prima insieme alla madre (Laura Morante) e al fratello. Il regista di Regalo di Natale e Il papà di Giovanna, celebrato per il suo intimismo crepuscolare, ha in realtà una corda balzachiana capace di scrutare con fermezza la vita dei mascalzoni, delle loro vittime e i rovesci del destino ai quali si candidano inesorabilmente. Il consiglio di amministrazione fatto di esperti di contabilità creativa e criminale, avvocati stressati, segretarie frustrate, un addetto stampa che fa la cresta sui fornitori, è la scena più vivida di un film che, forse come non mai, porta l’occhio di Avati direttamente nell’attualità di un Paese in cui la corruzione, la distorsione politica del mercato, la fobia della magistratura sono diventati tratti endemici. In questo chiaroscuro violento, tra ingenuità e destrezza priva di scrupoli, la commedia umana di Avati gode di una nitidezza più tagliente: quel terrore e quella rapacità in una sala riunioni, di fronte a un piano di cristallo, sono proprio ciò che la cronaca non può raccontare. Lo sdegno rende più vivido lo humour e il sarcasmo, la devozione filiale ha risonanze struggenti, il plot ha un crescendo grottesco che culmina in un arresto durante una cerimonia nuziale. De Sica, dopo 26 cinepanettoni, abbassa il volume e recita senza prendere la rincorsa prima delle battute; Zingaretti schizza un genio della manipolazione e della truffa (ex monaco, sempre in sandali) che non si dimentica e la Morante è una patetica folksinger buddhista la cui interpretazione merita tutta la tenerezza e il rammarico di cui il figlio più piccolo, l’esordiente Nicola Nocella, la inonda, con il semplice sguardo, a ogni inquadratura.
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