Regia di Pupi Avati vedi scheda film
Tre caratteri estremi – la surreale isteria della madre, l'abnorme cinismo del padre, l'incredibile ingenuità del figlio – vengono qui composti in un quadro di plausibile coerenza, dipinto con sottile ed originalissima sensibilità. Il tocco di Pupi Avati ci incanta per il modo in cui riesce a far decorosamente affiorare il romanticismo dal contesto superficiale, materialistico e volgare degli intrighi politico-economici, in cui provare sentimenti ed emozioni è inopportuno nella sostanza, e ridicolo nella forma. L'essenza di questo film è uno scontro tra opposte follie: quella di chi, come l'imprenditore senza scrupoli Luciano Baietti, pensa di poter tranquillamente sottomettere tutto e tutti al proprio interesse, e quella di chi, come la sua ex-moglie Fiamma, cantante di fede buddista, crede che il male sia solo un'illusione passeggera, pronta a dissolversi di fronte all'irresistibile attrazione del bene. Sono questi i due volti dell'italica immaturità, che ci rende incapaci di vedere, nei valori morali, entità concrete, che possono essere ferite e per le quali occorre lottare con costanza e fermezza. Non si tratta di mere convenzioni di facciata, buone per i servizi giornalistici, né di spiriti celesti che, come per magia, si posano sulle anime per illuminarle: i principi sono una conquista della storia umana e civica, e dovrebbero quindi essere una solida parte di noi e della nostra società, costituendo il robusto scheletro della coscienza individuale e collettiva. La fragile realtà di casa nostra si poggia, invece, su un labile e mutevole equilibrio tra apparenza e convenienza, sostenuto dalla sotterranea forza dei ricatti, delle pressioni e degli allettamenti di varia natura, e lasciato indisturbato da un'imbelle indifferenza e da una dissidenza che si limita a sventolare le bandiere. Questo sistema strumentale toglie verità ad ogni nostra parola o azione: quanto diciamo o facciamo non è più espressione di un pensiero, ma è solo una mossa funzionale ad una strategia di potere. Ciò ci induce a coltivare, in noi stessi e nei nostri nemici, non già la ricchezza dell'esperienza e la profondità della riflessione, bensì la frettolosa ricerca del primato e, soprattutto, la comoda abitudine della memoria corta. Il figlio più piccolo è un brillante saggio di realismo contemporaneo che riassume, con sapiente e raffinata armonia, i più tradizionali ingredienti della satira all'italiana, ossia l'amarezza, la comicità ed il grottesco.
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