Regia di Kôji Kawano vedi scheda film
La bella reporter Toshiko Shirizawa (Miho Funatsu) viene spedita dal suo capo, direttore della rivista Truth, a intervistare il personale del ristorante Toogen (“Tutti impazziscono per i loro ‘ravioli paradisiaci’, ma c’è qualcosa di losco sotto”). Il locale, dove lavorano soltanto il cuoco Chin (Sakae Yamazaki), e una cameriera, l’affascinante Lin (interpretata dalla splendida Mihiro), ha attirato anche l’attenzione della polizia, che ha spedito i due detective Goro (Katsuya Naruse) e Iwanomoto (Yusuke Iwata) a indagare, convinti che il cuoco Chin sia colpevole di omicidio. Nei pressi del ristorante, infatti, è stata vista per l’ultima volta la sorella di una celebre giornalista gastronomica, poi misteriosamente scomparsa: la convinzione di Shirizawa e, ben presto, anche della polizia, è, perciò, che i rinomati ravioli dello chef Chin vengano farciti con un impasto di carne umana. Non solo, ma come scoprirà Goro dopo le prime indagini, è Lin la padrona del locale, mentre lo chef è soltanto un suo dipendente. Inoltre, incalzata dal detective, Lin si rivela sinceramente meravigliata per i sospetti della polizia, mentre Chin, arrestato senza uno straccio di prova e interrogato dalle forze dell’ordine, si rifiuta di collaborare e non rilascia alcuna dichiarazione. L’arcano mistero dei prelibati ravioli del ristorante Toogen, viene, però, ben presto svelato: “Ho imparato molte cose sui ravioli paradisiaci: nel XIX secolo, in Melanesia, la carne dei forestieri era considerata il cibo più squisito. Catturavano i forestieri e poi li bastonavano fino alla morte, quindi li spogliavano e li arrostivano: i polsi e le cosce erano considerati le parti più saporite. Però non siamo nel XIX secolo!”. Infatti, nel XXI secolo, l’aggiornamento nipponico delle pratiche melanesiane si indirizza verso un’altra parte del corpo: la vagina. Quella di Lin, per l’esattezza, nei cui “sapidi” umori vengono imbevuti i celebrati ravioli Toogen. Quello che Lin ignora, però, è che dietro le misteriose morti (nel frattempo, infatti, anche la giornalista gastronomica in cerca della sorella e il detective Iwanomoto ci hanno lasciato le penne) ci sia proprio Chin: è, anzi, convinta, chiedendo per questo l’aiuto del detective Goro, l’unica persona di cui sembra fidarsi, di essere proprio lei l’autrice dei crimini. Le sembra di impazzire, sconvolta da incubi e allucinazioni: la verità, però, viene ben presto a galla, mentre la fame di cadaveri del cuoco assassino, psicopatico guardiano del “paradiso”, non accenna a placarsi…
Il regista Kôji Kawano esordì con alcuni titoli softcore per poi virare verso l'horror e il trash (basterebbe il titolo del suo precedente "lavoro", The Girls Rebel Force of Competitive Swimmers, per mettere a fuoco le coordinate di riferimento dell'autore) e, con questo Cruel Restaurant, scritto insieme a Satoshi Ôwada e uscito direttamente per il mercato home video, operare una fusione dei due generi: affidato il ruolo di protagonista alla pornostar Mihiro (nome d'arte abbreviato dell'incantevole Mihiro Taniguchi), Kawano si concentra su una vicenda adeguatamente idiota e delirante per imbastire la sua giocosa tela di intrighi, perversioni e divertimento. A livello di intenzioni, quindi, l'appassionato del genere (dei generi, anzi) potrebbe decisamente convolare a nozze con il film di Kawano, se non fosse, invece, per l'abissale distanza che separa il risultato finale dal punto di partenza. A soffermarsi sui difetti, infatti, si finisce per diventare impietosi: non funziona quasi nulla, a partire sin dalle scadenti cadute nel demenziale, dai flashback con cui la giovane Lin ricorda gli insegnamenti del maestro Hoi (interpretato da Kesuke) per addentrarsi nei segreti dell’arte culinaria, all’ostinazione dell’apprendista chef per farsi assumere da Lin nel ristorante, fino all’alternanza dei momenti comici con improvvise e, alla luce del risultato complessivo, inutili parentesi raccapriccianti (il cuoco Chin, ad esempio, alle prese con la rana), senza che l’incedere della vicenda e il crescendo di misteri e tensione ne guadagnino mai in termine di effettiva incisività spettacolare, apparendo, anzi, sempre gratuiti e fuori registro. Lo splatter e il gore, inoltre, non riescono mai, se si esclude la resa dei conti finale (ma anche in quel caso, poi, la mattanza degenera in demenzialità), a virare malesseri e orrore in convincenti forme disturbanti: i colpi di mannaia, infatti, vanno a segno sempre (e fortunatamente) fuori campo (anche per il livello spesso amatoriale degli effetti speciali), mentre pochissimi sono i momenti realmente inquietanti (su tutti, il pedinamento a tre, con il poliziotto Iwanomoto che segue Chin, che a sua volta sta seguendo una ragazza: il detective è pronto a intervenire appena Chin tenterà di aggredirla, ma il cuoco, invece, inaspettatamente si volta e si accanisce su di lui) e un’unica sequenza capace di smuovere la tensione (l’aggressione di Chin a Shirizawa nell’appartamento della ragazza). Anche la componente erotica della vicenda si riduce a semplice esposizione di morbosità variamente assortite, ma tutt’altro che conturbanti (l’aggressione dell’apprendista chef a Lin sul tavolo della cucina del ristorante, gli insegnamenti del maestro Hoi per realizzare i ravioli “perfetti”, con tanto di delirante e ridicola scena scult: il maestro, eccitato dal vedere Lin che si sta masturbando, che imbraccia la chitarra e inizia estasiato a suonarla), mentre le allucinate derive nell’incubo con cui ogni tanto il film cerca di alleggerire la tensione meccanicamente innescata da Kawano, si rivelano soltanto banali e fuorvianti digressioni del plot.
Le scelte registiche di Kawano, perciò, si rivelano deludenti e approssimative, denotando spesso l’impostazione dozzinale e la superficialità dell’approccio (su tutte, le squallide riprese dal basso per sbirciare sotto la gonna di Lin), rese ancor più fiacche dalla prevedibilità dello script: già dopo qualche minuto di film, infatti, anche un cieco potrebbe individuare sviluppi della vicenda e colpevoli. Ma Cruel Restaurant annovera tante altre raffinate perle di sceneggiatura, oltre a quelle già citate: dal detective che si convince dell’innocenza di Lin semplicemente perché “l’espressione nei tuoi occhi mi dice che non l’hai fatto“, alle giustificazioni con cui il maestro Hoi convince Lin, per diventare chef raffinata, a concedersi a lui (“Per cucinare ci vuole esperienza: non puoi preparare i ravioli toogen se non conosci gli uomini!”), fino ad altri clamorosi scompensi narrativi (il personaggio della reporter Shirizawa, che entra ed esce con eccessiva leggerezza dal cuore della vicenda, o quello, di rara idiozia, della teenager Chie, impersonata dalla giovane e sexy Mina Arai). Ma il podio va di diritto al “geniale” piano di Shirizawa e del detective Iwanomoto, con la complicità di Chie, per smascherare i misteri nascosti nella cucina del ristorante: “Lei è ciò che ci serve: mangia moltissimo. Se Chie si mangia montagne di ravioli, prima o poi finiranno il ripieno e dovranno cercare altra carne: noi li seguiremo e li arresteremo proprio nell’atto del crimine”.
Poi, parliamo del trash: dov'è il lerciume in questo film? Tutto appare pulito e levigato (quindi artificiale, mentre il trash vive/muore nella spontaneità), la sciatteria delle soluzioni della messinscena è involontaria e non mirata, l'approccio parodistico è goffo e spesso disarmante, dimostrando, oltre tutto, che, giocando con il grottesco, Kawano si prende terribilmente sul serio. E se sulla deficienza della trama si può chiudere un occhio in nome del divertimento goliardico (ridotto in ogni caso ai minimi termini), lo spessore inesistente dei personaggi, tratteggiati come pallide macchiette, finisce per indispettire. Resta qualcosa, alla fine, allo sventurato spettatore in cerca di un po' di "sana" imbecillità pornosplatter, a parte la bellezza di Mihiro, qualche gag impertinente e la fotografia di Mitsuaki Fujimoto? Poco, quasi niente: e questo, per qualsiasi sexy-demential-horror è indubbiamente sconsolante. Ben altra cosa, quindi, per restare in tema di ravioli dal ripieno tabù, l’episodio Dumplings di Fruit Chan, tratto da un gioiellino horror come Three… Extremes.
“Il maestro Hoi diceva: ‘Il gusto dei ravioli paradisiaci è cambiato nelle generazioni’. Io voglio farli meglio”.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta