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Il segreto dei suoi occhi

Regia di Juan Josè Campanella vedi scheda film

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La recensione su Il segreto dei suoi occhi

di OGM
10 stelle

Ecco la dolorosa elegia delle cose che non cambiano, in senso psicologico, affettivo, politico. Vicende come quella di Volver raccontano del passato che ritorna: l’io narrante di questo film, invece, è il tenace osservatore del tempo irremovibile, che impedisce di dimenticare e di ricominciare. Forse è per un astratto istinto di sopravvivenza, o una inconscia nostalgia della giovinezza, se il protagonista di questa storia vuole restare ancorato ad un momento ormai lontano della sua vita, da cui gli pare di non essersi mai mosso. L’amore irrealizzato ed il caso giudiziario rimasto aperto hanno congelato per sempre, in lui, l’uomo e il magistrato che egli era venticinque anni prima. Quello è il punto da cui, per tanto tempo e in diversi modi, ha cercato invano di riprendere il discorso: i “cinquanta” incipit del suo romanzo, quegli innumerevoli abbozzi di racconto che ha scritto e riscritto senza mai concluderli, parlano di una vita “vuota” e ferma, perché fatta di un’infinita serie di false partenze. Nonostante l’impossibilità di progredire, Benjamín Espósito non ha però cercato di mettersi in viaggio verso altre direzioni: si è sempre rifiutato di scantonare nelle vie secondarie del pragmatismo e del compromesso, per rimanere sulla strada maestra, quella tracciata dalla verità dell’anima, che è impressa negli sguardi di una donna innamorata o di un cinico criminale, ed è l’inconfessabile segreto che trapela soltanto attraverso i loro occhi [è forse più corretta l’accezione che riferisce alla terza persona plurale l’aggettivo possessivo sus del titolo originale spagnolo]. Sono gli occhi a rivelare ciò che le parole non possono o non sanno esprimere, ossia ciò che la convenienza ordina di soffocare nel silenzio. La disonestà e l’indifferenza iniziano, non a caso, col non voler vedere il volto di chi ci sta di fronte,  per intraprendere un rapporto puramente verbale, e quindi distante, parziale ed ingannevole, viziato da bugie, reticenze, superficialità, da lacune può o meno volontarie, come il linguaggio in codice usato in lettere compromettenti, o come un lapsus che, in un messaggio frettolosamente scribacchiato, fa comparire temo anziché te amo. La visione  è, invece, l’unica, efficace chiave di accesso alla realtà, è il faro che rischiara l’ombra in cui si nascondono le emozioni ed i delitti. Nella regia di Juan José Campanella, il cinema diventa la metafora dell’indagine umana e poliziesca; il dramma si fonde con il giallo, in una storia in cui è l’obiettivo della cinepresa a scovare, inseguire e catturare l’assassino. Nell’“impossibile” piano sequenza dello stadio, il suo occhio - come fosse quello onnisciente di Dio -   parte dal cielo per scendere in mezzo agli uomini, e individuare, con impressionante precisione, il colpevole in mezzo ad una folla oceanica.  In questa concezione “trascendente” della ripresa si riconosce una sorta di realismo sublimato:  è quello che coglie i dettagli non col rigore scientifico del rapporto, bensì con la folgorante icasticità della poesia. Come nella lirica descrizione della prima colazione di Liliana e Ricardo, con cui si apre il film,  l’attenzione non si dirige, in maniera diretta e mirata, alla concretezza dei fatti, bensì si lascia trasportare, con lucida dolcezza, dalla scia di pensieri che vi galleggia intorno:  è, questa, la materia impalpabile che riempie lo spazio tra gli eventi, che li collega e li fa respirare, e quindi li fa essere per noi, seguendo gli impercettibili impulsi della mente ed i sommessi palpiti del cuore.

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