Regia di Juan Josè Campanella vedi scheda film
“Il segreto dei suoi occhi” di Juan Josè Campanella, tratto dal romanzo “La pregunta de sus ojos”, di Eduardo Sacheri qui anche co-sceneggiatore, è il film che ai recenti Oscar si è aggiudicato a sorpresa il premio come Miglior Film Straniero battendo la concorrenza di due superfavoriti come “Il nastro bianco” di M. Haneke e soprattutto “Il profeta” J.Audiard. Il film condivide alcune caratteristiche col vincitore dell’ edizione 2009, l’allora sconosciuto giapponese “Departures” di Yojiro Takita che strappò di mano il premio a “Valzer con Bashir” di A. Folman. Entrambi sono girati da registi molto noti in patria, giunti alla ribalta internazionale al picco della maturità artistica anche se Campanella ha lavorato molto con i serial televisivi dirigendo alcune puntate dei serial Doctor House e Law & Order ; entrambi sono film di sceneggiatura girati in modo classico senza sperimentazioni linguistiche; a differenza dei film favoriti nelle rispettive annate, stravisti e metabolizzati dal pubblico, i due outsider hanno trovato una miserevole distribuzione che ne ha limitato la visione ai pochi eroi che attenti ne hanno seguito i destini; entrambi, e questo duole dirlo, sono inferiori alle aspettative generate da un Oscar al Film Straniero dal quale, in quanto premiante cinematografie più attente alla qualità che allo spettacolo, ci si attende sempre qualcosa di importante.
Nella Buenos Aires contemporanea il funzionario del tribunale Benjamin Esposito, giunto alla pensione decide di scrivere un libro sulle memorie di un caso di stupro e omicidio degli anni ’70, riaprendo di fatto le ricerche del suo assassino e cercando di lenire le pene d’amore che la sua diretta superiore, Irene Hastings, gli ha procurato per tutto quel tempo. Indaga con l’aiuto del fedele, alcolizzato collega Sandoval, una sorta di ibrido tra il Groucho Marx di Dylan Dog e il Watson di Sherlock Holmes.
Amore, morte, passione, denuncia civile e qualche sorriso, c’è un po’ di tutto nel film di Campanella, un melò suadente come un tango lento e accaldato. Nell’Argentina che si prepara un futuro di dittatura la legge comincia a scricchiolare sotto il peso dei funzionari chiamati ad imbandire la tavola della nuova nazione, il caso di Liliana Coloto è una piccola storia di criminalità e di abusi di potere che si riflette e si amplifica sullo schermo della Storia. I sicari, la dittatura, i desaparecidos sono germogli dei semi piantati nella carne della ragazza morta. Bisogna dimenticare perché troppi ricordi non portano alcun futuro. Questo il triste consiglio che il vedovo inconsolabile della bella moglie trucidata declama come una sentenza per l’Argentina che verrà, i ricordi di Benjamin vengono invece affidati alla pagina scritta del romanzo che ne sancisce il ricordo e ai frequenti flashback che mettono in scena proprio quei ricordi. E’ un film lento e dolente “Il segreto dei suoi occhi” che alterna ottimi momenti di cinema ad altre scene diluite nei dialoghi, numerosi e a volte ridondanti, figli evidentemente della lunga militanza televisiva del regista. Girato quasi totalmente in interni Campanella imprigiona i suoi personaggi in private gabbie di infelicità, esseri umani soverchiati dalle strutture di una società in sfacelo, che sia una prigione, un’abitazione o il palazzo di giustizia, congela la storia nelle stanze e poi stupisce con un piano sequenza di 5 minuti girato nello stadio di Buenos Aires durante la partita del Racing. Movimenti fluidi di macchina e sceneggiatura con qualche ingenuità, ostentazione dello stile classico in controtendenza al digitale e ai montaggi ipercinetici di moda oggi. Venti minuti in meno non guasterebbero, anzi ne gioverebbe il continuo scivolare da un argomento all’altro che a tratti diventa gioco scoperto e fastidiosamente didascalico. La storia racconta sé stessa, lo stratagemma narrativo del libro in corso di scrittura permette soluzioni altrimenti impensabili così che ad un certo punto si sfiora il meta linguaggio quando lei legge a lui il finale del libro che narra della fine del loro amore, sulla banchina di una stazione e con il treno in partenza. “Un finale di merda” “E’ vero ma è andata così”. Il bello è che la scena è veramente girata in modo artificiosamente patetico. Campanella sa il fatto suo, è evidente, il linguaggio cinematografico gli appartiene in pieno anche se non riesce completamente a condividere la passione che brucia negli occhi i due protagonisti, così thriller e melodramma si intrecciano e si confondono l’un l’altro, giustizia e vendetta si scambiano di posto poiché il risultato ormai non cambia, quello che resta inteso è che a morire è l’amore mentre le occasioni perdute tornano con il loro carico di nostalgia a reclamare il dovuto.
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