Regia di Juan Josè Campanella vedi scheda film
L’amore ai tempi della Memoria, dell’Oscar argentino, “Miglior film straniero”, del regista Juan José Campanella, tratto dal romanzo di Eduardo Sacheri (“La pregunta de sus ojos”, in Italia edito da BUR) e co-sceneggiato con lui dal regista, ha un incipit che lascia senza fiato per la sua bellezza. E’ come assistere al movimento, all’interno di un quadro impressionista, sostenuto, sin dall’inizio, da una riuscitissima colonna sonora.
Non meno interessante ed intensa la storia: Benjamin Espósito, agente in pensione, è in cerca di una verità che metta la parola fine a 25 anni di buio. Deve riuscire a sapere, e a scrivere, la strana e misteriosa evoluzione di un efferato omicidio, seguito da lui stesso, insieme ad un amore sfiorato, mai vissuto davvero, con l’allora segretaria al tribunale Irene Menéndez Hastings. Benjamin scava un solco nella sua memoria, riscoprendo un presente e un passato sempre in costante solitudine e tristezza. Tuttavia, per l’ex agente, tale ricerca sarà un modo per rievocare, giorno dopo giorno, i passaggi di un passato nebuloso, apparentemente privo di senso, ma che, invece, cambierà la sua visione delle cose, finendo per riscrivere il futuro.
Campanella è tornato al cinema, con questo suo sesto lungometraggio, dopo aver diretto importanti serie tv, negli Stati Uniti, come Law & Order e Dr. House. Riuscitissima la stessa ricostruzione della sua città natale, la Buenos Aires della metà degli anni ’70, con una periferia all’ombra, lo stadio stracolmo (in cui gira un piano sequenza meraviglioso e degno di nota, che dura oltre cinque minuti). Il bravo regista si concentra sull’amalgama di toni, colori e registri, proprio alla maniera dei pittori Impressionisti, riuscendo a sfiorare le molteplici tonalità e cifre espressive, tra l’altro care al genere noir, ma anche al dramma, non tralasciando la commedia. Nonostante questi continui passaggi, Campanella non perde mai di vista una certa sua coerente e personale estetica del gusto e del modo di fare cinema, coadiuvato da un direttore della fotografia eccellente, il brasiliano Félix Monti, utilizzando dei piani lunghissimi in cui tutto ciò che in essi appare fa parte dei ricordi stessi. Non ci si perde mai, nonostante il racconto proceda continuamente per salti, compiendo balzi tra due estremi, attraverso l’uso costante di flashback: dal 1974 (anno di poco anteriore all’instaurarsi della dittatura dei generali) fin quasi ai nostri giorni, un quarto di secolo dopo. Tempi lontani, ma che sono ben filtrati e letti attraverso gli occhi degli altri. Gli unici capaci di serbare i veri segreti.
Giancarlo Visitilli
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