Regia di George A. Romero vedi scheda film
“L'unica cosa per cui mi metto a pregare ardentemente è che i morti rimangano insieme a noi! Per tutta la vita ho seguito le parole di Dio, le sue regole, i suoi… molti insegnamenti. Qui io faccio solo ciò che lui ci ha comandato di fare!”
Plum Island, isoletta al largo della costa del Delaware: due famiglie di origini irlandesi si contendono un controllo che si fa sempre più arduo, giacché gli zombie si stanno manifestando perfino nel loro remoto angolo di mondo. Gli ormai esuli O'Flynn, il cui capofamiglia è l'esuberante vecchio Patrick (Kenneth Welsh), sono dell'opinione di sterminare i morti viventi a colpi di carabina in testa, mentre i Muldoon tentano un approccio rieducativo su di essi, incatenandoli e lasciandoli alle consuete mansioni di quando erano vivi, finché non impareranno a cibarsi di tutto ciò che non sia carne umana.
Come se non bastasse, Patrick O'Flynn usa Internet per attirare estranei con un video promozionale sull'isola, quasi a voler offrire riparo dalla carneficina in atto in tutto il mondo; è così che giunge a Plum Island via nave un piccolo commando della National Guard, guidato dal fiero Crockett (Alan van Sprang) e con un adolescente sfrontato (Devon Bostick) al suo improvvisato seguito.
Alla faida territoriale scatenata da due zotici fanatici, si aggiungono dunque dei militari degenerati e un manipolo di zombie…
Fermi tutti, c'è Kenneth Welsh! Sì, insomma, il perfido Windom Earle di “Twin Peaks”. Per me capolavoro a prescindere, a maggior ragione se dietro l'intera operazione ci sono la mente e la mano del vecchio Romero! Ok, anche no: con “Survival of the Dead” non siamo di fronte ad un buon risultato, anzi.
Rilasciata su DVD e on demand prima di una limitatissima uscita cinematografica, l'ultima fatica di Romero – una produzione pressoché totalmente canadese - è stata un autentico disastro su tutti i fronti. Già dal terrificante incipit si presenta come una sorta di spin-off del precedente (e quantomeno valido) “Diary of the Dead”, dal quale riprende i personaggi dei militari della National Guard trasponendoli in un western, nel quale gli zombie risultano poco più di un accessorio alla consueta allegoria sociale romeriana; stavolta il fulcro della traccia politica, dopo denaro e media dei capitoli precedenti della nuova trilogia, è costituito dal fanatismo, dall'ostracismo del diverso, dal soffocamento di ogni idea dissimile dalla propria. Tutto molto bello e condivisibile, ma dal fiato corto e penalizzato da un'accozzaglia di cadute di stile, implausibilità, abusi di stereotipi in serie. Persino il montaggio è a tratti tragicomico, con particolare riferimento alla gestione del finale.
Effetti speciali? Pochi e debolucci. Recitazione? Mediamente terribile: Alan van Sprang è un'irritante summa di faccette toste e forzature tamarre, pur essendo vittima – come gli altri – di ruoli scritti malissimo.
Intendiamoci, qualcosa da salvare c'è: un gigioneggiante Kenneth Welsh su tutti, una fotografia da non disprezzare, lo spunto (l'unico) dei morti viventi lasciati “vivere” incatenati, la scena finale che ha un suo perché e che risolleva parzialmente un pre-finale davvero imbarazzante (con tanto di gemella che sbuca dal nulla, espediente che mi duole definire dozzinale).
Produzione indipendente da 4 milioni di dollari, “Survival of the Dead” è ad oggi l'ultimo lavoro di George A. Romero, il maestro che ha “inventato” gli zombie su pellicola e che li ha piegati ad intrattenimento per veicolare dei messaggi politici e teorici fuori dal coro. Ha sfornato dei capolavori e dei film più che buoni, ma quest'ultimo titolo, drammaticamente privo di ispirazione, non gli fa certo onore e gli ha precluso la possibilità di girare altro materiale, portando produttori e distributori a voltargli le spalle. Dovessi giudicare solo da quest'ultima pellicola, direi che è un bene. Conoscendo Romero, faccio il sentimentale e dico che è un peccato.
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