Regia di Takashi Miike vedi scheda film
Provare a riportare in scena attraverso l’utilizzo di attori in carne e ossa i personaggi e le vicende che derivano dagli anime e dai manga giapponesi è sempre stata un’operazione ardua, ne sa qualcosa Jacques Demy, che provò attraverso la produzione franconipponica di rappresentare “La rosa di Versailles” (meglio conosciuta in Italia come “Lady Oscar”) con risultati disastrosi tanto che il film sparì presto dalla circolazione, o più recentemente il regista James Wong che con un’operazione impervia di origine sinostatunitense ha provato a portare sul grande schermo le avventure di “Dragon Ball” con esiti che definire deprimenti e ridicoli sarebbe un complimento. La difficoltà maggiore di operazioni del genere nasce dalla complessità data dai soggetti in esame, dalle sceneggiature molto spesso caratterizzate da drammaticità sia storica sia consapevolmente ironica, da comicità demenziale e da personaggi solo in apparenza semplici ma che invece nascondono nette caratterizzazioni.
Il regista Takashi Miike, il “Tarantino d’Oriente”, ha sempre spaziato da un genere all’altro in maniera molto personale, passando dal western al poliziesco, dal film musicale ai blockbuster. È difficile riuscire a immaginarlo alle prese con un soggetto lontano dal suo universo narrativo: un prodotto destinato a tutte le fasce di età, la realizzazione in “carne” dell’anime “Yattaman”, serie di 103 episodi nata nel 1977 facente parte dei cosiddetti “Time Bokan Anime”. I Time Bolkan nascevano in netta opposizione a tutti quegli anime che in maniera seriosa avevano come protagonisti dei robot indistruttibili destinati a vincere ogni battaglia attraverso l’uso delle loro potentissimi armi e la loro forza. Pur mantenendo come protagonisti i robot e il canovaccio tipico di ogni episodio che prevede uno scontro vittorioso sul nemico di turno dopo sbalzi e viaggi attraverso lo spazio e il tempo, i Time Bolkan presentano dei robot talmente strampalati da sembrare surreali: vincono più che altro a causa della debolezza del robot nemico, incapace di reggere gli scontri a causa della demenzialità e sbadataggine degli umani chiamati a condurli. Ogni personaggio ha una connotazione stabile con un minimo di aspetto psicologico che tende ad evolversi prima della fine della serie: il buono è sempre rappresentato come tale e spesso è un ragazzino, un adolescente attorniato da un gruppo di aiutanti umani e non, mentre al cattivo spetta il compito di addossarsi ogni aspetto comico e sessuale della storia. In Italia, spesso, l’aspetto sessuale è stato nettamente tranciato dal doppiaggio per un motivo alquanto semplice: mentre in Giappone, l’anime è destinato ad un pubblico tardoadolescenziale o adulto, in Italia è sempre stato indirizzato ad un pubblico di bambini.
Nel suo film, il regista riprende i personaggi della serie. “Yattaman” presenta per tutta la sua durata dei protagonisti in pianta stabile, destinati a scontrarsi in ogni singolo episodio prima di giungere al grande scontro conclusivo.
Tra i buoni, troviamo appunto gli Yattaman: Ganchan (Yatta 1), figlio di un ricco imprenditore del settore dei giocattoli e appassionato di ingegneria meccanica tanto da divenire inventore di robot alquanto semplici ma potenti; Janet (Yatta 2), eterna fidanzatina di Ganchan ed esperta di apparati elettronici. Ovviamente i due ragazzi hanno degli aiutanti durante i loro scontri e il film ne sceglie due particolarmente interessanti: Robbie Robbie, un simpatico robot mascotte dotato di ironia, perspicacia e sagacia, e Yatta Can, macchina da guerra e mezzo di trasporto, capace di generare attraverso un tonico (che funge un po’ come gli spinaci di “Popeye”) nuovi piccoli robot da guerra introdotti da un rullo di tamburi. Yatta Can lascerà presto il posto a Yatta King, la sua “artificiosa” versione evoluta, capace anch’esso di generare piccoli robot più resistenti, da essere introdotti in maniera trionfale dall’ouverture del “Guglielmo Tell” di Rossini.
Particolarmente interessante il comparto dei cattivi, il poco temibile Trio Drombo: la bellissima Miss Dronio, mente e corpo di ogni azione malefica, è accompagnata da due aiutanti decisamente fuori dal normale. Boyaki (mano ed esperto meccanico, è colui che progetta ogni robot) e Tonzula (aiutante dall’aspetto grassoccio). I tre rispondono agli ordini del “Re dei ladri”, il dottor Dokrobei, una sorta di Charlie che comanda i suoi “angels” con l’uso di messaggi recapitati attraverso robot che esplodono e che non esita a punirli alla fine di ogni missione andata persa. Obiettivo del dottor Dokrobei è recuperare la Dokrostone, pietra millenaria dotata di straordinari poteri capaci di fermare il flusso del tempo creando dei varchi che permettono di viaggiare nel corso della storia. La pietra era stata frantumata in quattro parti anni prima proprio a causa dei suoi poteri; l’unico che era riuscito a individuarne un pezzo era un archeologo, il dottor Kaieda, fatto scomparire proprio da Dokrobei. Il trio Drombo per recuperare i fondi necessari a finanziare le proprie missioni mette in scena delle frodi gigantesche basate su temi inerenti al soggetto della loro prossima creatura robotica.
È ovvio che lo scontro tra Yattaman e Drombo è dettato dalla conquista della Dokrostone. A favorire l’intervento degli Yattaman è anche l’incontro con la piccola Shoko, figlia dell’archeologo scomparso e alla sua ricerca.
Quello che costruisce il regista è un film talmente surreale da sembrare a tratti naif e kitsch, un trip psichedelico che conduce tra colori, musiche, comicità demenziale e presa in giro del mondo degli anime stessi. Innanzitutto dota i suoi eroi di costumi poco convenzionali: Yatta 1 e Yatta 2 indossano semplici tutine colorate e una mascherina che copre gli occhi mentre Miss Dronio è caratterizzata da una tutina super aderente in pelle nera, calze a rete e stivali con tacchi da 17,5 centimetri. Miss Dronio, bionda e con un decollette da paura, con la sua incredibile bellezza turba i sogni erotici degli spettatori adulti e fa innamorare il suo aiutante Boyaki (ovviamente respinto)… il riferimento erotico viene reso evidente anche dalla comparsa in scena del maialino mascotte del trio Drombo, appare sempre attaccato a un palo quando miss Dronio si rivolge con toni suadenti a Boyaki.
Ed è sul piano dell’erotismo che sfocia nel feticismo e nella perversione (è la stessa miss Dronio che fa cenno alla cosa in una battuta rivolta al suo Boyaki) che gioca gran parte del film: sin dal primo combattimento vediamo in scena un palo che scorre sul corpo di Yatta 2; assistiamo al sogno proibito di Boyaki: divenire l’idolo di un gruppo di teenager, rappresentate distese con la loro divisa scolastica “alla marinara”, sotto una pioggia di petali (?), con Boyaki che passa loro lo smalto sulle unghia dei piedi; accenni al voyeurismo arrivano anche da Dokrobei: spia con una telecamera nascosta miss Dronio dentro la vasca da bagno (brividi di lussurioso sudore mi attraversano ancora nel ripensare alle immagini) e fa sì che un suo robot messaggero le tolga via di dosso ogni residuo di schiuma per ammirarla integralmente; il robot costruito da Boyaki e denominato “Vergine di ferro” spara missili direttamente dai capezzoli e trasforma il suo seno in “tette bombe”, richiama Yatta Can per spingerlo verso un amplesso talmente focoso da bruciare letteralmente e da mandar in tilt ogni circuito elettronico; i comandi che il trio Drombo usano per dirigere la loro ultima creatura, il “Seppiolone”, sono una continua e chiara allusione all’atto sessuale stesso (“Spingilo/Mollalo” ripetuti in continuazione, il primo da Miss Dronio mentre il secondo da Boyaki).
E in netta corrispondenza con l’immaginario erotico il regista approfondisce anche l’aspetto affettivo delle relazioni tra i protagonisti. Yatta 2 è la fidanzata di Yatta 1 ma il loro legame viene messo in discussione dalla gelosia di lei nei confronti di Shoko prima (a cui Yatta 1 surgerà il veleno di uno scorpione da un interno coscia) e di Miss Dronio dopo (Yatta 1 e Miss Dronio si scambieranno un bacio involontario che renderà lei consapevole dell’amore che prova per il ragazzino). Il tutto è trattato senza mai perdere i toni ironici della vicenda, senza cadere nel drammatico, esaltandone semmai la forte vis comica evitando il facile sentimentalismo e concludendo la vicenda nel classico abbraccio riparatorio.
Notevole è anche l’uso sapiente di temi e valori consolidati alla base dell’anime: innanzitutto vi è la fiducia il cui tradimento porta alla sconfitta del male, in un finale liberatorio dove il trio Drombo riesce a liberarsi di Dokrobei che aveva mentito sulla sua natura di “Re dei ladri”. La realizzazione dei sogni è poi lo scopo di tutte le azioni dei personaggi: gli Yattaman desiderano mantenere l’ordine del mondo come vere sentinelle, miss Drombio al di là dei suoi sogni di potere sogna una vita normale caratterizzata dall’essere sposa e mamma, la piccola Shoko vuole solo ritrovare il padre scomparso.
Imponenti sono i mezzi tecnici utilizzati per la realizzazione dei combattimenti aerei, per i robot, per le descrizioni geografiche e le frodi dei Drombo: Yatta Can e Yatta King sono stati ricostruiti con dimensioni che rispecchiano le proporzioni tra robot e Yattaman presenti nel cartone, così come la città di Tokyo (rinominata qui Tokyoyo) è rappresentata in maniera quasi fedele alla reale. Interessanti poi gli scenari dei posti che gli Yattaman si trovano a visitare alla ricerca delle parti della Dokrostone: l’Ogitto, rappresentato tra deserto e piramidi a forma di gatto, o le Valpi orientali (grandi montagne innevate) ma anche la Narvegia (molto “amazzonica” visitata dal dottor Kaieda); stupiscono sia le coreografie da musical all’interno del negozio di abiti da sposa messo in piedi dal trio Drombo per recuperare i soldi necessari per costruire la “Vergine di ferro” sia i pesci giganti creati per il loro ristorante di sushi, utile per i soldi destinati al “Seppiolone”.
L’uso del computer aiuta moltissimo le scene degli esilaranti giri intorno al mondo: il viaggio sullo Yatta Can da Tokyoyo all’Ogitto assume i toni della gag allo stato puro, con accelerazioni di velocità e onde sul viso, con la piccolo Shoko letteralmente attaccata al retro e quasi spazzata via dal vento; così come il “vomitevole” viaggio sullo Yatta King che prevede una tappa anche nello spazio. Incredibile e visionaria la scena di sdoppiamento di Dokrobei sul finale, quando dal cranio aperto fuoriesce la testa del dottor Kaieda creando un effetto di stupore quasi splatteriano. Quasi macchiavellica invece è l’ambientazione finale tra gli ingranaggi di orologi quasi chiamati a simboleggiare il flusso del tempo.
Il regista usa colori accesissimi per rappresentare i paesaggi e gli interni in cui vive il trio Drombo: ad esempio un acceso rosa, quasi fucsia, misto a nero accompagna la stanza della vasca da bagno di Miss Dronio, creando un effetto glamour sul personaggio stesso talmente al passo con i tempi da avere incredibili teschi disegnati su unghia anch’esse rosa e nere.
Sapiente l’uso delle musiche, tanto da rispettare il singolo episodio dell’anime: sigla di apertura, sigla di chiusura (accompagnata dalle immagini significative della vicenda) e canzoni intermedie che accompagnano sia i momenti di stasi sia le scene di combattimento. Esilarante il numero musicale messo in scena nel caveau del negozio di abiti da sposa, Miss Dronio trasformata quasi nella Christina Aguilera della colonna sonora di “Moulin Rouge”.
Il rimando poi alla graphic novel è evidenziato dal tratto da disegno animato del sogno segreto di Tonzula (divenire un campione da combattimento così come l’ “Uomo tigre”, una scena che mantiene i volti umani su corpi disegnati) oppure durante la suddivisione in finestre dei primi piani di Yatta 1 e Miss Dronio, separate “manualmente” da Yatta 2 nel tentativo di rompere la sintonia tra i due.
Non mancano poi le prese in giro ai film hollywoodiani. Diventa divertente rilevarli nonostante siano evidenti: la scena si apre con la città di Tokyoyo in cui la statua del cane “Hachiko” è sostituita da quella dell’Ape Magà, il sogno di Boyaki richiama il sogno erotico di “American Beauty”, Tonzula sul ring grida “Adriania” dopo la sua vittoria rifacendo il verso a “Rambo”, la scena da “Cliffhanger” misto quasi all’ “Esorcista” sul finale.
Ma quello che più lascia il segno è la presa in giro del mondo degli anime stessi attraverso il sapiente uso di battute ed espedienti provenienti da altri anime famosi: Shoko asserisce di essere la “classica ragazza sfigata degli anime” (e il riferimento rimanda a tutta una serie di cartoni incentrati sulle disavventure amorose e familiari di eroine femminili, da “Candy Candy” a “Lady Georgie”); le spiegazioni vengono lasciate spesso a una voce fuoricampo che si palesa sotto forma di scheletrino per tentare di spiegare l’evoluzione dei robot creati dal “Seppiolone” da pesci missili a tonni (un’esilarante non-spiegazione senza senso che richiama immagini già viste in “C’era una volta Pollon” o “Nanà Supergirl”, dove strani esserini aprivano e chiudevano l’episodio o lo interrompevano per dare delucidazioni su eventi o personaggi prima non in scena); spassosa, al limite del mal di pancia, la scena in cui gli Yattaman e il trio Trombo si passano la Dokrostone nel tentativo di distruggerla come se si passassero la palla durante un incontro di pallavolo, culminato con l’ “attacco doppio” degli Yatta, richiamo voluto alle mitiche schiacciate di “Mimì e la nazionale della pallavolo” o di “Mila e Shiro”.
Geniale il doppio finale: il primo lo si riconosce a film ancora aperto con il sentiero dal triplice incrocio per il trio Drombo, da un lato, e la partenza dalla cima della montagna degli Yattaman, dall’altro. Il secondo finale arriva invece dopo la divertente sigla conclusiva riassuntiva: così come nelle puntate dell’anime si anticipa quello che avverrà nell’episodio successivo... perché Miss Dronio è vestita di bianco? Perché fa la sua comparsa il fratello di Dokrobei? Chi vincerà la sfida tra Yatta Pellicano e il Seppiolone 2?
Per una volta, caso quasi più unico che raro, grande merito alla scelta dei doppiatori italiani: sono state scelte voci che hanno accompagnato i cartoni animati degli ultimi vent'anni, creando quasi una familiarità complice con i protagonisti. Su tutti le voci di Pietro Ubaldi (Tonzula) e Debora Magnaghi (Miss Dronio).
A film ultimato ci si alza con la voglia di esultare “Yatta!” nei confronti del regista, “Ce l’hai fatta!”: lo spirito della serie animata è rimasto inalterato, l’ironia ne risulta accresciuta, Kyoko Fukada nei panni di Miss Dronio accompagnerà i sogni erotici di ogni maschietto, i bambini saranno soddisfatti dall’aver ritrovato gli elementi a loro comuni per via dei figli di “Yattaman” (“Sailor Moon” o i “Pokemon”, in primis). L’unico rammarico sono le poche sfide, solo tre. Ora si freme nella speranza di un secondo episodio!
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