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Splice

Regia di Vincenzo Natali vedi scheda film

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La recensione su Splice

di OGM
4 stelle

La favola della ragazza mutante è un tenero incubo biotecnologico che Natali si dimentica di attualizzare. Poche vetuste idee non bastano a dare forma ad una materia insipida ed inerte come la plastilina, di cui la  transgenica protagonista di questo film sembra impastata. Né, d’altra parte, quest’opera può fregiarsi del fascino rétro della fantascienza di un tempo: i mostriciattoli viscidi simili a Barbapapà e la donna calva dalle fattezze feline non hanno nulla dell’aura fantastica del cartone animato o del fumetto, perché sono troppo smaccatamente figli delle tecniche digitali alla portata di tutti, dei ritocchi da Photoshop che, con un clic, banalizzano ogni stranezza e dissacrano ogni meraviglia. Ma allora, tolte sia la  rutilante spettacolarità alla George Lucas, sia lo spiritoso romanticume  alla Steven Spielberg, ciò che rimane è un freddo ed asettico prodotto di laboratorio, che inutilmente discetta di teorie biologiche o etiche dalla nicchia virtuale e fuori dal mondo in cui è confinato. Il dramma è ridotto ad un’astrazione filosofica, così come la carne (pseudo)umana è un effetto grafico che riproduce, secondo un arbitrario codice linguistico dell’autore, il contenuto di una misteriosa combinazione cromosomica. Dall’alto di queste artificiose costruzioni, il personaggio non riesce a fare presa sulla storia, su cui, di fatto, continua a rimbalzare come una bambola di gomma,  a cui, quando è bambina, si mette il ciuccio e si canta una ninna nanna, quando è adolescente, si dipinge il viso e si mettono i vestiti belli, e, quando è adulta,  si fanno fare cose oscene. Dren, in questa storia, è null’altro che un manichino vivente utilizzato per i giochi più scontati, a cui partecipa come un insensibile robot, affetto, tutt’al più, da qualche attacco di isteria. E questo Splice arriva, dunque, in ritardo un po’ su tutto: sul progresso scientifico, sull’evoluzione dell’elettronica, sulla storia del cinema,  e, soprattutto, sui gusti di un pubblico che, ormai abituato a frenetici cambi di immagine e di stile, difficilmente può trarre alcunché da questa totale, e patinatissima, assenza di stimoli.

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