Regia di Vincenzo Natali vedi scheda film
Subito dopo il (meritato) successo di The Cube, targato 1997, il regista Vincenzo Natali concepì l'idea di questo horror fantascientifico. Idea che però ha dovuto attendere diversi anni per trovare i finanziamenti ed una forma compiuta, grazie alla produzione di Guillermo Del Toro. Ma, a fronte di cotanta attesa ed altrettanta passione, quello che giunge a noi è un film di imbarazzante bruttezza.
Clive Nicoli ed Elsa Kast (uno spaesatissimo Adrien Brody ed una passabile Sarah Polley) sono una coppia di ricercatori del N.E.R.D., un laboratorio di genetica; la loro specialità è lo splicing, ossia l'innesto tra geni di natura diversa. Dopo aver ottenuto qualche buon risultato con Ginger e Fred, un'affiatata coppietta di lumaconi OGM dai quali però i superiori s'aspettano ancora molto in termini di proteine da isolare, Elsa, spinta da un (neanche tanto) inconscio desiderio di maternità (e di dominio), convince Clive a snobbare le due creature ed il loro prezioso patrimonio genetico per sperimentare qualcosa di nuovo che preveda tra gli ingredienti anche il genoma umano: il risultato è Dren, più che un mutante un vero e proprio Transformer: nasce che pare un girino di 5 chili, salvo abbandonare quasi immediatamente la corazza nell'incubatrice e iniziare a zompettare come un canguro sotto la forma dello strano ibrido albino di una manciata di specie animali; ma questo è solo l'inizio, perché, nel lungo corso della pellicola, una volta acquisite fattezze simili a quelle di una donna, darà sfoggio di capacità di adattamento e metamorfosi tali da far apparire Leonard Zelig un pivello: in buona parte essere umano, quindi adatta alla vita di superficie, e dotata, all'estremità della coda, di un pungiglione capace di rigenerarsi in un nanosecondo, non disdegnerà qualche lunga immersione con la quale sfruttare i polmoni da anfibio supplementari forniti dalla casa, né si negherà qualche volo quando scoprirà di avere in dote anche un bel paio d'ali miracolosamente celate dentro al corpo efebico e pronte ad uscir fuori all'occorrenza senza arrecare danno alcuno alla propria delicatissima pelle.
Questo è solo un assaggio del campionario delle assurdità che, in questo film, Natali pensa di vendere come qualcosa di mai visto. E non basta certo inserirle in un contesto (para)scientifico per renderle anche solo vagamente appetibili, perché l'effetto che ottiene è infatti, al contrario, quello di sottolinearne la pretestuosità. Ma ammesso e non concesso che le si voglia accettare, Splice fallisce anche sotto il profilo della scrittura: il film procede spedito, è vero, ma lo fa accontentandosi di galleggiare, presentando personaggi di contorno totalmente piatti ed inutili a far meno che da sfondo alle schermaglie tra i due protagonisti e la creatura mutante, laddove quello che vorrebbe essere il nodo della pellicola e il suo carattere distintivo e qualificante, ossia il legame morboso tra Dren e i due scienziati, non viene di fatto mai veramente approfondito, l'evoluzione del rapporto genitori/figlio, impostato con la creatura da Elsa e da lei stessa di fatto imposto a Clive, viene trattato in maniera completa nella teoria ma sommaria nella pratica, perché le fasi cruciali della crescita ci sono tutte, ma tutte appaiono liquidate in quattro e quattr'otto, e la tanto strombazzata attrazione fisica tra lo scienziato e la sua creazione è credibile forse ancora meno dei repentini cambi d'abito di lei, servita malissimo da un pretesto risibile e ancora peggio suggerita dalle espressioni facciali tutt'altro che convincenti di un Brody impresentabile. Neanche il lato psicologico della faccenda appare quindi scandagliato a dovere, soprattutto per quanto concerne le dinamiche all'interno della coppia, affidate in maggior parte a dialoghi ripetitivi e didascalici o più semplicemente banali, mentre l'umanissima evoluzione di Dren è tutta nei versi nella gestualità e nelle smorfie feline della comunque brava Delphine Chanéac.
A conti fatti qualcosa che si salva c'è, ma è davvero poco: si salva il clima claustrofobico attraverso cui l'azione si svolge, reso bene dalle due location scelte, nelle quali, di fatto, si sviluppa quasi interamente la storia: il laboratorio prima, e il casale poi; ma serve a nulla l'atmosfera se tutto il resto fa acqua. Le tematiche ed alcune immagini vorrebbero ricondurre a scenari cari a Cronenberg, ma Natali non sembra averne la potenza e si ferma alle intenzioni. Gira bene, però, e mette davvero paura nella scena in cui, a mezzora dalla fine, Dren sfoga la propria aggressività repressa contro il gatto e contro Elsa; ma paga, tra gli altri, l'errore di non porre limiti alla sospensione della credulità: dimenticandosi di definirne i confini, concede a Dren trasformazioni possibili e soprattutto impossibili, togliendo, con sprezzo del ridicolo, i necessari punti di riferimento allo spettatore. Di questo passo va da sé che l'interesse scema sempre più, e al finalone splatter ci si arriva ridendo per non piangere in attesa dell'ennesimo imprevedibile colpo di teatro.
Spiace dirlo, ma Splice è uno degli scult dell'anno, e la presenza di un epilogo aperto non può che essere accolta come un sinistro presagio.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta