Regia di Vincenzo Natali vedi scheda film
Splice è il nuovo film dell’italo canadese Vincenzo Natali, regista di culto di Cube del 1997. E’ il film che avrebbe voluto fare subito dopo ma che per mancanza di fondi slittò a data da destinarsi. Se Splice vede la luce oggi è per la produzione di Guillermo del Toro già regista e produttore di gran parte del cinema fantastico contemporaneo.
Clive, un sempre più disimpegnato Adrien Brody e Elsa, Sarah Polley, sono due brillanti scienziati con il pallino dello splicing, ovvero la fusione di DNA di specie animali diverse allo scopo di isolare proteine in grado di sconfiggere malattie genetiche, un giochino che sotto la maschera rassicurante della sperimentazione a fin di bene, nasconde l’aspirazione ad assurgere a Dio in terra ricavando dagli esperimenti la chiave della creazione. Peccato mortale, soprattutto perché migliaia di film di fantascienza avrebbero dovuto insegnare ai due geni che con il gene non si scherza. Se poi alle misture genetiche viene aggiunto l’ingrediente proibito, l’umano, ecco che tutte le soglie etiche e morali vengono scavalcate di slancio facendo fare all’evoluzione e al suo millenario, paziente , perfezionamento degli organismi viventi, una figura da nerd.
Dren è appunto l’opposto di nerd, una creatura costruita con smisurata ambizione, ego totalizzante, follia e empirismo creazionista . Una Chimera indifesa e letale al tempo stesso che conserva e amplifica in se’ tutte le pulsioni e le contraddizioni più profonde e irrazionali dell’animo umano. L’inconscio prende carne in Dren che quindi è ingestibile.
Elettra si trasforma in Edipo, il Padre muta in Bellerofonte, l’esperimento lascia ben presto nel cuore di Elsa lo spazio all’amore materno ma l’animalesca sensualità di Dren trasforma tutto in un groviglio incestuoso nel quale tutti gli elementi morali fondanti la psiche umana vengono allegramente divelti per essere esposti al ludibrio dei sensi.
La Creatura e i Creatori: la figura archetipica del mad doctor Frankenstein e del suo prometeico furto del sacro fuoco della creazione rivive nella nascita di Dren con in aggiunta una dose massiccia di sessualità repressa e pertanto distruttrice nel momento in cui viene liberata. Se nel libro di Mary Shelley l’amore era la pulsione della vendetta del figlio contro il proprio scellerato padre, nel film di Natali è il sesso incestuoso della creatura anelante una propria brama evolutiva. Il film mantiene una costante tensione sessuale e ipotizza un liberatorio punto di non ritorno che sarà causa scatenante della tragedia finale, shakespeariana in un certo qual modo. Il tutto tenuto sotto controllo, nella prima parte, in ambienti algidi dalla luce metallica, spazi asettici privi di qualsiasi appeal sessuale, un contrasto che crea volutamente disagio e allude ad una cosciente negazione dell’essere umano come tassello dell’universale disegno evolutivo in quanto auto elevatosi al grado di presuntuoso creatore. La seconda parte, più intima e crudele, è ambientata in un vecchio fienile nel quale in una luce più calda e sensuale entrambi gli scienziati proiettano su Dren i loro desideri repressi, la maternità per Elsa e l’insoddisfazione coniugale per Clive.
E’ un film interessante Splice, complesso nel suo sottotesto quanto lineare nella trama. Un B-movie fantahorror truccato abilmente da film ad alto budget che limita la computer grafica a pochi particolari scegliendo invece la plasticità della materia degli effetti speciali e del trucco per donare verosimiglianza a Dren, interpretata dalla segaligna modella Delphine Chanéac. Girato quasi tutto in interni, quando anche gli esterni nel finale del bosco sono di fatto ingombri di grovigli di rami e arbusti tanto da dare comunque una sensazione di chiusura claustrofobica, si può dire che Splice sia un film all Natali vista la cifra stilistica del nostro, che predilige l’ambientazione ossessiva degli spazi chiusi nel quale dimostra di trovarsi perfettamente a proprio agio e che soprattutto mette sempre i suoi personaggi di fronte a scelte etiche e morali, bivi e soglie dalle quali dipenderà la loro sorte (summa di questo pensiero è proprio Cube, storia di alcuni personaggi imprigionati in un gigantesco cubo di Rubik ripieno di trappole mortali).
C’è molto delle intenzioni di un altro canadese ossessionato dal corpo e dalle sue trasformazioni, questa sembra materia per David Cronenberg. Tuttavia Natali non ha lo spessore del Vate della Nuova Carne e rimane in superficie alludendo piuttosto che scendere in profondità e fare male. Pur regalando dei buoni momenti di tensione e poesia il film non è mai veramente disturbante e rimane sospeso, carico di promesse e di potenzialità nella routine del genere fantascientifico senza riuscire a farsi metafora o elevarsi a completa astrazione dell’universo intimo umano. Avrebb potuto essere un ottimo film ma Natali non è Cronenberg, anche se questa non è una colpa. Adrien Brody non è un attore da film di genere come da qualche tempo a questa parte sta cercando di reinventarsi, soprattutto nel look tardo giovanile nel quale è imprigionato in questo film. Questa invece si, è una colpa.
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