Regia di Maya Deren vedi scheda film
Sconvolti, ricacciamo indietro noi stessi e scopriamo chi di noi stessi è colpevole del nostro omicidio/suicidio, perché è sempre qualcos'altro a parlare, qualcosa lontano e fuori/dentro di noi, che agisce e impedisce alla nostra volontà di affermarsi su sé stessa. La libertà tra le nostre parti, la scissione in più esseri, volontà stracciate e separate, una donna sdoppiatrice incappucciata che da lontano ci offre un fiore, ce lo lascia sul letto, un fiore che è in realtà un coltello ma anche una chiave, atta ad aprire simbolicamente il nostro animo e a farci percepire, a costo della vita, la differenza fra noi e noi stessi e l'altro ancora. Triplice forma di un'unica materia, che si trasforma e cela dietro l'aspetto più innocuo l'invito a morire, e uccidere noi stessi per uccidere i nostri "altri". Perché la quotidianità del pomeriggio è fatta di reti che ci stringono nel paradosso stesso dell'esistenza, e non siamo liberi nemmeno dentro noi stessi. L'abitudine ci corrode e si/ci deforma. Ci imponiamo, le regole si materializzano e ci costringono all'abitudine. Vediamo, rivediamo noi stessi, sia la nostra stessa ripetizione speculare, ridondante, perché anche la follia, nel suo ripetersi due o tre volte, diventa abitudine, sia un qualcuno che conosciamo, a cui vogliamo bene, e mentre perdiamo la gravità ci accorgiamo di come il quotidiano ci uccida. Corriamo e ricorriamo alla ricerca del nostro legante, di quella cosa che avrebbe potuto evitarci di riflettere su noi stessi (il momento esatto in cui nacque la scissione, zac! Un colpo di coltello, e lo specchio è rotto), una donna-specchio che invece è la Verità e ci sta chiedendo di uscire da noi stessi per catapultarci in qualcosa forse di ancora più reale, ovvero il Caos dentro noi stessi. Perché all'interno di ognuno di noi c'è la nostra alternativa, noi siamo liberi di cambiare, a meno che quel cambiamento, anche se inconscio e non trattenuto, ci si ponga davanti e affermi la sua autonomia. I mondi lynchiani, alternativi, L'impero della mente. Siamo incarnazione di infinite possibilità ontologiche, ed è il sogno che ci catapulta in esse (o una fessura, come sarà il buco nella tela di INLAND EMPIRE), ce le fa esperire senza che noi siamo in grado di controllarlo/controllarci. E se fuori è tutto sempre uguale ma cambia posizione, una realtà in cui si realizza effettivamente la fantasia espressionistica dell'ombra e della gravitazione obliqua, e noi siamo in grado di teletrasportarci perché siamo già in un posto e col sogno abbiamo creato un mondo (tirando da dentro la bocca una chiave) in cui lottiamo contro altri noi stessi e le nostre metà esistenziali o coniugali, allora siamo arrivati alla comprensione del Dissidio, e l'Apocalisse dell'anima sarà di fronte alla nostra coscienza. Moriremo, ci uccideremo perché capiremo che è meglio annullarci, perché il sogno è diventato realtà.
Meshes of the Afternoon ci intrappola, ci affascina, ci distrugge, ci fa provare il terrore di un incubo, ci fa volare.
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