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Meshes of the Afternoon

Regia di Maya Deren vedi scheda film

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Dalton

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La recensione su Meshes of the Afternoon

di Dalton
8 stelle

Il kammerspiel beckettiano incontra l'avanguardia surrealista bunueliana.
Nasce così uno psicodramma sul ruolo della donna, generatrice di vita e devastazione: inevitabile soffermarsi ad elogiare l'incantevole fotografia post-espressionista, in cui il chiaro rappresenta la purificazione e l'oscuro rappresenta la perdita.
L'aspetto dadaista, intrecciato alle rifrazioni nelle significanze del teatro dell'assurdo, si rintraccia nella messa in scena d'una spersonalizzazione attuata mediante il ripudio dell'ambiente circostante. Lo stesso Samuel Beckett approfondirà tale tematica, assieme ad Alan Schneider, nel postumo FILM.
Una serie di topos vengono messi in scena: l'ombra, il fiore, la chiave, le scale, la porta, il coltello, il cibo, il letto, la finestra, lo specchio, la bocca, la sedia, la spiaggia. Anche l'uomo. E la morte.
Tutti questi topoi sono intercambiali, in una narrazione che procede per libera associazione: il discepolo David Lynch ringrazierà nei decenni a seguire.
Da buon avanguardista, Maya Deren mette in scena un post-femminismo ... prima che il femminismo prendesse esistenza! E' anche l'interprete del suo lavoro: si puo tranquillamente affermare che per esso si è divisa letteralmente in quattro: io, es, super-io ed il proprio cadavere.
Ci sono violenti passaggi dalla ripresa oggettiva a quella soggettiva, per scindere ed infrangere, con metodo chiaramente schopenhaueriano, la rappresentazione della/dalla realtà. Vi è pure una riflessione minimale sulla scomparsa dell'arte futurista.
La visionaria cineasta sviluppa persino sospensioni visive che faranno scuola in tutto il cinema onirico e/o di (affermata) origine teatrale. Il pallido, implacabile decesso con la falce verrà ripreso da Ingmar Bergman ne IL SETTIMO SIGILLO: già, il punto (o addirittura lo spunto) di partenza del capolavoro svedese nasce proprio da qui! Così come la mano che, ad inizio pellicola, compare dal nulla e porge il fiore sul set, diventerà il bigliettino da visita della iconoclastia, fiabesca e sarcastica, di Terry Gilliam e i Monty Phyton.
Tale struttura diegetica verrà sminuita da alcuni critici, nella misura in cui non si raggiunge il vertice, raggiunto anni dopo da Charles Laughton in THE NIGHT OF THE HUNTER - o perfino accennato da John Ford, nella sequenza del balletto coreografico, in THE QUIET MAN - nel quale ogni sequenza diviene una sorta di metafora del nucleo esegetico: ma lì ci aggiravamo nel lungometraggio, questo invece è un cortometraggio dal ritmo analogico ... e perfetto. In tal misura, ogni dubbio sul valore del senso d'insieme a livello formale diventa pretestuoso.
Resterà il punto d'incontro tra lo sperimentalismo d'inizio secolo di Dziga Vertov - russo - e quello di fine '900 dello statunitense Godfrey Reggio. I due acclarati maestri della cinematografia "astratta" si spinsero anche oltre il mediometraggio ed elaborarono ampie masse. La regista di MESHES OF THE AFTERNOON, ucraina naturalizzata americana, ha creato un anello intermedio tra i due, non solo a livello geografico, basato differentemente sull'intimismo.

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