Regia di Aki Kaurismäki vedi scheda film
Cinque anni dopo il bizzarro Leningrad Cowboys go America, Kaurismaki rispolvera la folk band sgangherata dai tratti (e dai costumi) surreali, andandola a prelevare esattamente dove l'aveva lasciata: in Messico. Questo sequel è in realtà la parabola di ritorno, speculare a quella compiuta nel primo capitolo delle avventure della band: una volta raggiunto il successo, ci informa in apertura lo stesso regista, i Cowboys si sono lasciati andare ed ora l'unico desiderio che hanno è quello di rientrare in patria. Che il loro losco manager-guida si faccia poi chiamare Mosè e proclami di voler condurre il suo popolo nella terra promessa, può solamente fare sorridere, poichè certo non si avverte alcuna intenzione irriverente nei confronti dell'omonimo biblico. All'altezza del primo episodio, anche in questo secondo si ritrovano elementi surreali e nonsense (il furto del naso della statua della libertà) che spiegano molto dell'eccentrica idea di 'humour' che appartiene al regista finlandese.
Piegati dalla tequila, in Messico i componenti della sgangherata folk band Leningrad Cowboys ricevono la visita del sedicente Moses, manager che propone loro di riportarli in patria, e che ha rubato il naso della statua della libertà. Viaggiando, ed accogliendo ingaggi di fortuna, lungo la Francia, la Germania (in cui vengono pure imprigionati ed evadono), la Polonia, i nostri tornano finalmente a casa.
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