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Leningrad Cowboys Meet Moses

Regia di Aki Kaurismäki vedi scheda film

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carlos brigante

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La recensione su Leningrad Cowboys Meet Moses

di carlos brigante
8 stelle

Per i Leningrad Cowboys il sogno americano è finito; non resta altro da fare che tornarsene a casa, in Siberia, guidati dal proprio Mosè (Matti Pellonpaa).
Più che un sequel vero e proprio del precedente "Leningrad Cowboys go America" questo "Leningrad Cowboys meet Moses" può essere definito come una sorta di b-side. Infatti, a differenza del primo "episodio" manca quella follia sgangherata intrisa di humor grottesco che aveva affascinato le platee di mezza Europa; anzi, in questo nuovo road-movie paneuropeistico, l'estetica è quasi austera e con gag comiche ridotte all'osso. Ciò, però, non è un difetto, quanto semmai un preciso intento ricercato da Kaurismaki. Da buon comunista romantico (cit. Helena Ylanen), Kaurismaki è profondamente deluso e arrabbiato per quanto è successo, e sta succedendo, nel Vecchio Continente. Il muro di Berlino si è sgretolato; L'Unione Sovietica è scomparsa; il capitalismo si sta diffondendo con sempre maggiore invasività nelle "incontaminate" terre dell'Est; e la Comunità Europea sta preparando poco alla volta l'avanzata verso nuovi terreni di conquista. Tutto ciò ha inciso sullo spirito del buon vecchio Aki e di conseguenza sullo stile volutamente più freddo di quest'opera che a conti fatti risulta per assurdo più vicina a "La fiammiferaia" che al primo "Leningrad Cowboys go America".
Rispetto, poi, alle opere del passato (e anche a quelle future) sono riscontrabili ulteriori differenze: M. Pellonpaa dà vita ad un'interpretazione con diversi "strappi", rispetto allo stile trattenuto e laconico che lo caratterizzava; quel carattere di delicata atemporalità sospesa lascia il posto ad una temporalità ben identificabile con i primi anni '90; la durata stessa del film (90') è maggiore rispetto a quella usuale di 65'-70'; le riprese in esterna in mezzo alla natura stavolta sono tuttaltro che sporadiche.
Dall'altra parte, però, non è difficile accorgersi di assistere ad un film di Kaurismaki: una fotografia dai toni ovattati in cui anche i colori più accesi non sono mai tali; i personaggi monoespressivi che non ridono quasi mai; l'attenzione per i diseredati soffocati da una società cinica e spietata; l'alcol;
In definitiva "Leningrad Cowboys meet Moses" non è di certo un film imperdibile, ma neppure un'opera evitabile e trascurabile.

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