Regia di Jan Svankmajer vedi scheda film
Jean è reduce dal funerale di sua madre. Ospite in una locanda, la notte ha un incubo e distrugge la camera. Un misterioso e affascinante marchese, personaggio fuori dal tempo, si offre di ripagare tutto per lui e lo invita nella sua magione. Jean non può che accettare ed è per lui l’inizio di un altro tipo di incubo, questa volta a occhi aperti.
Davvero la carne vince sempre sullo spirito? La forza bruta può essere ridotta in schiavitù dall’intelletto, così come gli istinti più concreti e primordiali possono essere facilmente soggiogati dalle creazioni tutte incorporee della mente. L’inquadratura finale di Lunacy spiega tutto: ma le due ore precedenti di film, certo non privo di lungaggini e sequenze un po’ tirate per i capelli, dicono comunque tante altre cose interessanti. A lasciare spunti ci pensa lo stesso regista, il settantenne Jan Svankmajer, nella scena di apertura in cui con un breve monologo introduce a modo suo il lavoro. Da quel momento in avanti lo spettatore viene proiettato in un vortice di raffinate sconcezze, carnalità sanguinolente, accessi di anticlericalismo, ostentazioni di tabù: Lunacy è un film senz’altro disturbante, ma vero, pulsante, animato e che sa animare la riflessione del pubblico. Jean (Pavel Liska) è però un personaggio troppo poco definito, che lascia sempre la scena a ogni comparsa del Marchese (Jan Trìska: eccezionale); fra gli altri interpreti vale la pena di citare Anna Geislerova, Pavel Novy, Jaroslav Dusek e Martin Huba. Probabilmente qualche inserto in stop motion di meno avrebbe giovato alla scorrevolezza di una trama già per sua natura cervellotica e non particolarmente diritta. 6/10.
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