Regia di Oren Peli vedi scheda film
IL “COMICO” INVOLONTARIO
Quando l’uomo non ce la fa più e urla:
“Che problemi hai?” al demonio che abita stabilmente la casa della coppia Micah & Katie, scoppio a ridere. Come si fa a interloquire con una entity sopranaturale con il linguaggio degli strizzacervelli? La ‘cosa’ non ha nessun problema, fa quello che fanno tutte le creature del buio: rompere le balle ai due abitanti, fare scricchiolare le porte, accendere la luce di notte, penetrare nella camera da letto dove Micah ha installato una sofisticata telecamera, lasciando impronte paurose.
“Cazzo… cazzo…”, strepita Katie, “La ‘cosa’ è entrata, ma non è uscita da questa camera!... Micah, fa qualcosa, ti prego!”.
Katie è giustamente preoccupata: la ‘cosa’ ce l’ha con lei, la perseguita da quando era bambina; ha cambiato casa tre volte Katie, ma la ‘cosa’ non smamma, le sta attaccata come una mignatta, la guarda nel buio, le soffia in faccia l’alito mortale degli inferi.
La ‘cosa’ non è uno spirito, ha spiegato, all’inizio del film, il dottor Fredrichs, fosse uno spirito, sarebbe di mia competenza, qui ci vuole un demonologo.
“Non chiamare nessuno, me la vedo io con questo cazzo… cazzo… cazzo di demonio!”, la rassicura Micah.
Per venti giorni, chiusi in un loft elegante, la coppia affronta il demonio. Ma questo non la manda a dire, si intigna: più i due cercano di farlo fuori, più questo si incattivisce, fa i dispetti, mette l’appartamento a soqquadro, e, quando Micah ricorre alla tavola di Ouijia che dovrebbe spaventarlo, il demonio, manco a dirlo, scrive sulla tavola un messaggio inquietante, terrificante: negli anni Sessanta, scrive, ho perseguitato la ragazza Diane, ora mi sono affezionato a te, Katie.
E dire che a Micah sembrava un gioco installare una telecamera più efficiente della steady, fotografare le entità nascoste negli angoli bui, dove meno te lo aspetti, niente da fare, bisogna chiamare il dottore in demonologia, ma questo è partito, cazzo… cazzo… cazzo.
“Fatti avanti, fammi vedere chi sei, vigliacco”, urla ancora Micah, nemmeno stia parlando con un ladro d’appartamento.
Micah non si chiede mica se la fantasima sia incorporea, al contrario scruta gli specchi caso mai il demonio sia in un momento di narcisismo.
La storia dura venti giorni e finisce come tutti gli spettatori con un grammo di cervello hanno capito fin dall’inizio.
Il merito (occulto) di Paranormal Activity è che lo spettatore può pensare ai fatti suoi, oppure chiedersi perché una banale storiella filmata come i matrimoni di provincia (riprese sghembe come fanno i fotografi alle prime armi), abbia avuto tanto successo e credito anche su FilmTv, a parte il voto basso del razionalista Boris Solazzo.
La spiegazione sta nel marchingegno ‘evento’: quando c’è un ‘evento’, è d’obbligo seguire la mandria americana. E poi c’è Spielberg dietro: vuoi che Spielberg abbia finanziato una ciofeca? No, cazzo… cazzo… cazzo… (la sceneggiatura è una sceneggiatura del cazzo!).
Io mi sono distratto, pensando che se in un film paranormale non hai un soffitto e un sottoscala, addio!, non puoi fare paura a nessuno; infatti, dopo ‘cazzo… cazzo… cazzo…’ le frasi statisticamente rilevanti della pellicola sono prese da titoli di film:
“Micah no, in cantina no!”
“Micah, non andare su in soffitta!, ti prego Micah!”.
Insomma, togli l’abbaino e il sottocala e Paranormal Activity scompare.
In fondo, il demonio preferisce la camera da letto.
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