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Green Zone

Regia di Paul Greengrass vedi scheda film

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La recensione su Green Zone

di ROTOTOM
6 stelle

 

Anno 2003, occupazione dell’Iraq da parte dell’esercito americano. Motivazione del conflitto: ricerca delle armi di distruzione di massa in mano al dittatore Saddam Hussein che potrebbero essere usate per fini terroristici.

Le armi non esistono, sono solo un pretesto per avere ragione di Saddam e dei suoi pretoriani. Con l’Iraq il terrorismo c’entra poco e dove c’entra non si guarda affatto. Il delicato equilibrio tra le tre etnie sull’orlo di una crisi di nervi, Sunniti, Curdi, Sciiti è compromesso e se il governo americano deciderà di sciogliere l’esercito e destituire tutti i gerarchi iracheni per riformare un governo senza alcun rappresentate del paese occupato, scateneranno la guerra civile. Questa è la storia vera e Paul Greengrass non ha alcuna intenzione di smentirla ne’ di riscriverne l’evolversi in un racconto ucronico. Tutto quanto anzi viene ratificato senza indugio poiché ciò che è successo serve  da sfondo-natura morta per agganciare ai fatti reali una storia inventata ma che potrebbe essere anche accaduta. Quelle fottute armi non si trovano e Matt Damon – Roy “ Capo”  Miller al comando della  squadra speciale di ricerca WMD (Weapon of Mass Destruction), si ritrova a rischiare la vita per bonificare capannoni vuoti, siti spogli, scavare buche in improvvisati campi gioco per bambini alla ricerca di qualcosa che sistematicamente si nega con sospetta puntualità.

Baghdad è lo scheletro di una città affondata nel caos, il suo centro gravitazionale è la Green Zone, l’area verde controllata dagli americani nella quale si va in piscina, si prende il sole, si fanno foto ricordo e si trama e complotta per la supremazia. “Green (grass) Zone” è un film d’azione puro e semplice, lineare nel suo spiegare un complotto  inserendo nel tessuto della verità  personaggi di fantasia che mostrano la faccia monoespressiva dei duri da film di serie B e   i muscoli oliati della tradizione neo bellica americana equidistante però tanto dalla denuncia di “Redacted” di De Palma quanto dalla folle lucidità di “The Hurt Locker” della Bigelow.

 Guerra e polvere, urla e spari. L’odore è quello della cordite. Greengrass gira  a camera a mano direttamente da dentro l’azione tutto in digitale molto sporco e con una fotografia cotta dal sole, notevoli le riprese notturne butterate di lampi di fuoco. Potenza visiva moltiplicata da un montaggio serrato di brevi inquadrature ingombre di facce e corpi, zaini e armi stretti nei vicoli deserti di Baghdad. E’ la cifra stilistica del regista dei vari “Bourne” con il fedele, pietrificato Matt Damon a risolvere l’inghippo e soprattutto dello splendido “United 93” che rimane oltre che il suo film migliore  nella sua ricostruzione di un’ipotetica verità, o meglio la verità che è meglio ricordare, anche il possibile gemello ideologico di questo “Green Zone”, anche se di ben altro spessore artistico. Sull’aereo diretto contro la Casa Bianca il montaggio alternato oscillava tra la claustrofobica presenza della camera da presa all’interno dell’aereo e le stanze del potere, mostrandone la medesima vulnerabilità. In “Green Zone” l’estetica è la stessa ma non c’è tempo per l’immedesimazione, il muoversi del protagonista all’interno del film e il suo entrare in contatto con gli altri personaggi provoca lo  sblocco di tutti i “perché” che servono a spiegare in modo semplice la realtà dando eguale voce ai buoni, ai cattivi, ai giornalisti e alle armi. Nulla di male, è un film di guerra, d’azione e morte.

Sembra di essere collegati in diretta con l’inviato di un qualsiasi network televisivo, immersi nell’ estetica della guerra in tempo reale mutuata dai servizi giornalistici ma in cortocircuito con l’esigenza della narrazione, lo svelamento del complotto delle stanze del potere che dà senso all’intreccio ponendo fine se non alla guerra, almeno al film.  L’aggressione visiva è totale, faticosa a volte. Le immagini restituiscono al mittente la violenza perpetrata con motivazioni  discutibili sull’Iraq e sulla sua gente, Greengrass non lascia il tempo di pensare, di riflettere e capire, azione/ reazione si alternano furiosamente riempiendo la pellicola di tempo bruciato dai fatti . Poi la fine, nulla cambia nell’economia del mondo, era solo una storia in più, con l’eroe disilluso di tanto cinema classico americano che cerca la personale rivalsa contro il sistema corrotto. Un classico sempre molto moderno.

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