Regia di Claudio Giovannesi vedi scheda film
Conoscono le parole, magari le farfugliano, ma nella maggior parte dei casi non capiscono il senso (il quale, a dir la verità, spesso sfugge pure a noi autoctoni) di quell’Inno d’Italia che nell’incipit fa un richiamo diretto proprio alla consanguineità (mostrato da Claudio Giovannesi già nel modesto La casa sulle nuvole). Ma d’altra parte per persone come Alin, Masha e Nader, tre adolescenti riconducibili alla cosiddetta “seconda generazione”, essere italiani non è certo una questione di sangue, piuttosto una mutazione culturale che hanno imparato ad assimilare tra i banchi di scuola. Nella fattispecie, l’Istituto Toscanelli di Ostia, dove Giovannesi torna due anni dopo il doc Welcome Bucarest. Alin, infatti, ha lasciato da 13 anni la Romania alla volta del Belpaese ma ancora si percepisce come straniero; Masha invece, di origine bielorussa, è stata adottata anche se ora vorrebbe ricongiungersi col fratello, mentre Nader non si riconosce nella tradizione egiziana da cui proviene. Storie di identità liquide, quelle messe in luce dal documentario, per cui l’integrazione è una battaglia quotidiana spesso fatta di amicizie, amori e giochiforza. Che però Giovannesi racconta senza particolari guizzi registici, quasi che la forma fosse ininfluente davanti all’entità del problema.
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