Regia di Sergio Rubini vedi scheda film
Sergio Rubini e la Puglia formano un binomio cinematografico che funziona quasi sempre. "L'uomo nero" non fa eccezione e ci regala una sorta di favola nostrana che parla di famiglia, di arte, di passione ma anche di pregiudizio ed incomprensione. Il film, splendidamente fotografato ed ambientato nella provincia di Brindisi, è sostanzialmente un lungo flashback che ripercorre l'infanzia del suo protagonista Gabriele (interpretato in età adulta da uno stralunato ma incisivo Gifuni) focalizzandosi sul complicato rapporto con il padre (lo stesso Rubini), capostazione del paese nonchè aspirante pittore ossessionato da Cezanne. Attorno a loro ruotano tutta una serie di buffi personaggi a partire dai familiari - la madre Valeria Golino e suo fratello Scamarcio, per una volta credibile nel ruolo di latin lover mantenuto - per arrivare agli esponenti di una comunità ipocrita e bigotta (fastidiosissimi Micheli e la Falchi) che ostacoleranno in ogni modo il povero artista sognatore facendolo sembrare un folle persino agli occhi del proprio figlio. "Non voglio diventare come mio padre", si ripete Gabriele da bambino ma il destino lo farà ricredere. Una pellicola non esente da difetti ed ingenuità stilistiche ma che si dimostra comunque accorata e sincera. Il regista/interprete ama la sua terra ed i suoi personaggi, questo è evidente ma riesce ugualmente a metterne in scena anche i difetti nonostante l' intera vicenda abbia connotati fiabeschi. E' così che, fra superstizioni, rimpianti per studi non intrapresi, quadri coi trulli e decine di pastarelle, si riesce a trovare anche un presunto uomo nero che lancia caramelle a bambini festanti da un treno in corsa. Un' immagine d'altri tempi che non consola ma mette nostalgia.
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