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L'uomo nero

Regia di Sergio Rubini vedi scheda film

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La recensione su L'uomo nero

di mm40
6 stelle

Il cinema italiano riscopre la nostalgia dell'infanzia, tutto ad un tratto: dopo Luchetti (Mio fratello è figlio unico), Tornatore (Baaria), Virzì (La prima cosa bella), ora tocca a Rubini fare il suo personale Amarcord. E le doti per riuscire non gli mancano certo; il problema centrale di questo Uomo nero è però (inedito nel regista) un incomprensibile egocentrismo, un'autoreferenzialità che accompagna l'Ernesto (cioè Rubini, appunto) della storia - frustrato e sempre pronto a rubare la scena al figlioletto, persino nel giorno del suo compleanno o mentre il dentista sta togliendo un dente al piccolo - mano nella mano con il personaggio-Rubini sulla pellicola, ovvero parallelamente alla quantità e qualità della sua interpretazione in rapporto a quelle rifilate al presupposto protagonista, ovvero Gabriele-Guido Giaquinto/Fabrizio Gifuni. La sceneggiatura (Rubini-Starnone-Cavalluzzi) risulta così, semplicemente, zoppa: se Rubini voleva farsi un regalo per il compleanno di mezzo secolo ce l'ha fatta benissimo, ma è evidente già dal titolo (e dalla prospettiva della narrazione) che al centro delle vicende dovrebbe esserci più spesso Gabriele, e non lui. Al di là di queste mancanze, la storia vive momenti davvero felici (ogni volta o quasi che Scamarcio entra in scena, ad esempio: il suo personaggio, lo zio erotomane, è irresistibile nel suo felliniano sprizzare vita e sesso da tutti i pori; per giunta si tratta dell'ennesima conferma della maturazione di Scamarcio come attore) e la scena madre della crisi isterica di Ernesto durante la festa di compleanno del figlio (patetica a dir poco, ma anche inverosimile, fredda rispetto ai toni adoperati nel resto del film) è ampiamente riscattata da un finale (anche qui 8 e mezzo, Fellini sempre Fellini, viene chiamato in causa nell'ultimissima sequenza) strappalacrime senza mai farsi realmente drammatico: la storia di Gabriele (o, meglio, quella di Ernesto vista dagli occhi di Gabriele) è un inno alla vita, alla creatività ed alla personalità - ciò che nessuno nel bigotto paesello vorrebbe riconoscere all'alieno Ernesto, insomma: autobiografismo senza freni per il regista -, ma non è mai un attaccamento disperato o per spirito antagonista della morte. In questo c'è tutto il meglio del cinema di Rubini, di questo film in particolare e probabilmente del cinema italiano di questi anni; nella costruzione malriuscita e nella contaminazione 'patetica' del melodramma (che è la base delle fiction tv, in sostanza) ci sono i limiti. Bella colonna sonora di Nicola Piovani. 6/10.

Sulla trama

Il piccolo Gabriele cresce in un paesino pugliese in cui la madre fa la maestra ed il padre Ernesto il capostazione. Quest'ultimo è fissato con la pittura ed impiega tutte le sue forze per organizzare una mostra delle sue opere; per l'occasione sfida sè stesso, copiando accuratamente un Cèzanne, suo pittore preferito. Ma quando il locale critico, un borioso professore, stronca le opere di Ernesto, questi impazzisce distrugge tutti i suoi quadri e smette con i pennelli. Dopo tanti anni Gabriele torna a casa per i funerali del padre e scopre una curiosa verità...

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