Regia di Sergio Rubini vedi scheda film
Carino. In fondo il pregio migliore di Sergio Rubini è sempre stato quello di sapere volare ad altezza ottimale, e quello di saper essere se stesso, l’agilità con cui sa mettere la sua fortunatissima “faccia da cinema” nelle sue storie, soprattutto quando, come attore, usa con pregevolissima generosità l’idioma pugliese (come non ricordarlo nel “Viaggio della sposa”?).
Un film ben realizzato e ben ricostruito nell’ambientazione scenografica, dove anche i co-protagonisti si comportano egregiamente con la “pugliesità” (facile certamente per attori come Maurizio Micheli, ma non altrettanto scontata per il duo/coppia Golino/Scamarcio) e dove anche i bambini (forte il loro peso in questo film), mai di facile gestione nelle pellicole soprattutto italiane dove non esiste il paracadute del doppiaggio, fanno una buonissima figura.
Curioso rivedere il regista con la stessa divisa che indossava nel suo primo film (“La Stazione”, appunto), ma ben comprensibile se si considera che questo film è un nuovo omaggio che Rubini fa a suo padre, ferroviere e pittore per diletto.
Cezanne al centro, e intorno la vita di una provincia, quella barese, che non si rassegna(va) ad essere banale o decentrata, ma che con caparbietà e modestia insieme vuole affiorare e mostrarsi, per quel che è e per quel che sa e può fare.
Molto simpatici i quadretti di vita familiare, con questo padre incolpevolmente un po’ distratto (in realtà troppo preso da cose “altre”), la madre (bellissima) e paziente, e la figura del cognato/Scamarcio ben indovinata e disegnata con le pennellate giuste, degne del miglior Cezanne.
Manco a dirlo, invece, l’Anna Falchi ci sta come i cavoli a merenda, non fosse che per i soldi che ci mette, e meno male che almeno ci mette i soldi…..
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