Regia di Sergio Rubini vedi scheda film
Pochi registi italiani sanno ritrarre la propria terra come Sergio Rubini, il quale raffigura la Puglia com’è luminosa, calda, grande, gialla e bellissima. Rubini si ispira alle realtà della provincia del Sud che conosce bene, confezionando ritratti di personaggi ‘macchietta’ assolutamente verosimili (come la moglie del dentista, una ricca signora, piacente, arrivata dal Nord che mantiene un provocante accento emiliano, interpretata da un’efficace Anna Falchi; oppure il saccente avvocato di provincia interpretato da un pungente Maurizio Micheli).
Rubini continua a pescare dalla sua biografia di figlio di ferroviere e dopo 10 anni, quasi fosse un prologo del suo primo lungometraggio alla regia, l'apprezzato anche a livello internazionale “La stazione” che gli valse il David di Donatello come Miglior regista esordiente, ripercorre il ruolo del capostazione con l'ambizioso sogno di intraprendere l’artistica carriera di pittore, ma resterà un dilettante, perché i suoi concittadini ne mortificano le aspirazioni artistiche, per invidia e per la difesa di casta. L'uomo nero è il fantasma dell'uomo cattivo, che si materializza -nell'immaginario del figlio Gabriele- ora nelle vesti di un padre disattento, ora nelle vesti di un barbone (che si scoprirà essere il macchinista che usa gettare le caramelle dal treno ai bambini dell'oratorio "Redentore" di Bari).
Rubini ci rappresenta il dramma familiare di un padre ambizioso ma frustrato e incompreso, attraverso gli occhi innocenti di un bambino e lo fa ispirandosi palesemente alla regia e ai colori di Tornatore (ma con grazia e senza strafare), mettendoci coriandoli di grottesca fantasia che rievocano Fellini in ogni scena di onirica immaginazione del piccolo Gabriele.
Ripercorrendo il tema già trattato nel precedente suo film “Colpo d’Occhio”, Rubini continua la sua argomentazione con un forte piglio critico contro la “critica” ufficiale e ufficiosa, in questo caso, ovvero quella espressa dalla società civile, da una borghesia “bene” e falsa, composta da uomini meschini ma dalla facciata nobile (lo sprezzante avvocato Pezzetti e il prof. Venusio) e amici veri che gli altri giudicano miserabili. In una riunione familiare per festeggiare il compleanno del piccolo Gabriele tutti i nodi verranno al pettine e la diabolica beffa ordita dal ferroviere sarà così sconcertante che lascerà lo spettatore a ‘bocca aperta’.
Rubini è tanto bravo come attore, quanto nella veste di regista e si dimostra un sensibile autore capace di raccontare storie biografiche con delicatezza, emozionandoci con immagini pulite e ricostruzioni del paesino e dei suoi bizzarri abitanti; ottima la sua capacità di svelare il terrore dei concittadini e la loro voglia di compiacersi nell’impedire che qualcuno di loro (come il capostazione, che deve restare tale) possa emergere dalla mediocrità e rendersi diverso dalla massa. Ipotesi che cercano d’impedire con una ferocia collettiva raramente così evidente.
Il regista scava non solo nelle ipocrisie e nel marciume della comunità del piccolo paesino pugliese, ma scopre anche l'intimo dei suoi personaggi, il lato oscuro (“l'Uomo Nero”) nell’accanimento eccessivo del protagonista nel voler raggiungere il suo scopo, nella gelosia della madre di Gabriele verso il marito che ricopre di attenzioni la bella romagnola, l’infrangersi dei sogni di libertà dello zio. Situazioni, colori e sapori del passato, che dotano il film di una malinconia abbastanza efficace e che cattura lo spettatore.
Sergio Rubini, come attore è una garanzia totale, catartico e capace di essere un verosimile istrione in ogni interpretazione.
L’uomo nero è un film genuino, sincero, divertente con personaggi verosimili e situazioni folkloristiche. Bravo Rubini nel riproporci la luce gialla che traspare nei vicoli dei paesini della provincia pugliese, “dove pare che il sole sia stato catalizzato dalla spensieratezza dei bambini che giocano a piedi scalzi per strada”! Quant’è vero questo film che consiglio allo spettatore sensibile!
Voto: 9
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