Regia di Carlo Verdone vedi scheda film
C’era una volta la commedia: che in questo Paese - incline a precipitare nel grottesco senza i preliminari del dramma - è sempre stato lo strumento più efficace per parlare al cervello, passando per la via, apparentemente obliqua, del diaframma agitato dal riso. Carlo Verdone, da più di trent’anni fa comicità e satira di precisione digitale, spesso illuminata dallo scoppio ritardato dell’amarezza. Stavolta, però, che la musica sia un po’ diversa dal solito, lo testimonia l’uso di una stupenda ballad di David Sylvian, molto simile al film che è una confessione sincera e divertente. Missionario dalle tempie dolcemente argentate, Verdone ritorna dall’Africa ma nessuno vuole saperne della sua crisi: né il padre che fa del «sesso orale strepitoso» con la badante moldava che ha sposato, né il fratello broker cocainomane, né la sorella terapeuta, nevrotica e compulsiva. È un gioco d’abilità che conosce a menadito. Il comico che ha a disposizione la più ampia risorsa di espressioni d’ascolto (imbarazzo, incredulità, fastidio) è un personaggio che nessuno vuole ascoltare. Grazie anche al copione inventivo (scritto con Francesca Marciano e Pasquale Plastino), nella seconda parte Verdone si sintonizza con più delicatezza con i sentimenti dei suoi personaggi: la solitudine di una ragazza madre, quella di un missionario precipitato da un continente, poverissimo e devastato, in una comunità di egoisti sazi e depressi. È l’unico, Verdone, stretto tra la competizione dei cinepanettoni e la disperazione di un cinema che sopravvive grazie all’inaspettato regalo di fenomeni Tv (Checco Zalone), a pescare nella tradizione profonda della nostra commedia, dallo sberleffo di Steno al sentimentalismo di Zampa. Ci fa squassare dalle risate mentre inocula in noi il sospetto della verità: temiamo che altri, da Paesi lontani, arrivino per strapparci le nostre ricchezze, ma viviamo, presidiandole, in uno spaventoso deficit di calore, affetto e allegria. Gli attori (soprattutto la Chiatti, la Finocchiaro, la Bonaiuto), sono strumentisti eccellenti, nelle sue mani: ma è proprio Verdone, in un duetto irresistibile con la Finocchiaro, a strappare l’ovazione, permettendosi anche di rifare Totò.
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