Regia di Gennaro Nunziante vedi scheda film
Bisognerebbe sentire una schiera di sociologi, ma di quelli bravi, per analizzare il fenomeno Checco Zalone. Il quale non ha la cattiveria di un Villaggio, la geniale lunaticità e la capacità di cogliere le astrusità del presente di un Albanese, la malinconia filosofica di un Troisi.
Eppure, indiscutibilmente, fa ridere. E nemmeno poco.
Posto che, per me, l’unica pietra di paragone è rappresentata dal suo film d’esordio (in quanto i successivi sono semplici rimasticature jazz di temi già ampiamente sviscerati), devo confidare che mi ero ritrovato a visionare Cado dalle nubi con pregiudizi enormi e ben radicati: lo Zalone televisivo non mi aveva mai entusiasmato, potendosi al più considerare un imitatore di lega non nobilissima ovvero un chiassoso mangiafuoco di luoghi comuni.
Alla fine del film avevo quasi le lacrime agli occhi. Per interi giorni ho provato a capire il perché, interrogandomi sull’età che avanzava ammorbidendo anche i più saldi punti cardinali di un (presunto) buon gusto. Non ho trovato spiegazione migliore di quella per cui Zalone, ovviamente molto più abile e scaltro di quello che lasciano trasparire i suoi personaggi, pur così volutamente aderenti alla figura del comico Checco, riesce, con pochi tocchi trash, a far strame di ogni più piccola convenzione normativa e/o sociale, avventandosi come cane impazzito sull’osso del politicamente corretto e delle più minute regole della convivenza civile.
Cado dalle nubi ha una trama basica, che un ragazzino delle elementari può seguire senza problemi. Dunque quale prodotto filmico in sé ha una consistenza pressochè aerea.
Tuttavia, a parte i richiami, anche strumentali, e densi di strizzatine d’occhio, alla autobiografia del nostro, riesce ad imporre una figura del demente cosciente e felice di esserlo (il Candido di Voltaire era ovviamente altra cosa, ma forse le radici sono più prossime di quanto si immagini), dell’ignorante destinato a vincere poggiando solo su una indomita ed inconsapevole forza di volontà, che non ha molti precedenti nell’attuale panorama del cinema italiano.
Le tirate contro la Chiesa, i cocainomani, i ragazzi che godono nel soffrire (la scena dell’incontro con l’emo, nella sua semplicità, ha una forza indiscutibile) e, soprattutto, le ipocrisie diffuse e trasversali nel parlare di omosessualità, rappresentano ben assestate punture di spillo a tempi come i nostri in cui tutto sembra rimestato in un pentolone, e tutto trasformato in sbobba indigeribile.
La funzione del personaggio Checco, allora, è quella di risistemare le cose in scaffali a volte urgentemente necessari: le diversità esistono, possono e debbono essere coltivate, senza darle in pasto ad altri che le squadrino con alterigia o finta commiserazione.
Il lieto fine, posticcio e un po’ stupidotto, altera tuttavia il quadro filosofico che il film tentava, faticosamente, di tratteggiare.
Ovviamente, può anche darsi che tutto questo sia una mia visione paranoica.
In tal caso, meritando naturalmente una battutaccia del nostro, faccio ammenda ed aggiungo comunque che Cado dalle nubi ha una sua portanza anche quale mero prodotto comico. Si ride, dicevamo, si resta ammaliati dalla faccia di tolla di Checco, emigrante senza valigia ma con chitarra (rubata), buon selvaggio rapito da una Milano che alla fine dovrà piegarsi alla sua mancanza di tatto e alla sua ottusa costanza da mulo.
Cinema della medietà, non c’è dubbio. Ma averne di film leggeri così: se ci fate caso, molti attuali prodotti italiani, che paiono strutturati come polli in batteria, risultano indigesti specie perché pretenziosi ed altezzosamente sicuri di sé. Zalone evita il rischio e traspare, dalle sue allucinate metafore, dai folli girotondi mimici e verbali, una certa sincerità. In effetti non è poco.
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