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Le margheritine

Regia di Vera Chytilova vedi scheda film

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La recensione su Le margheritine

di Baliverna
6 stelle

Due ragazze perdono tempo e si divertono fregandosene di tutto e tutti.

E' un curioso esempio del “nuovo” cinema cecoslovacco della fine degli anni '60, ed è quasi un affronto allo spettatore. A questo nuovo cinema, oltre che alla Chytilova, facevano parte anche personaggi anche abbastanza diversi, come Jiri Menzel e Milos Forman.

Innanzitutto, di trama non ce n'è: due ragazze passano le giornate sostanzialmente perdendo tempo: fanno una quantità di cose senza senso, e a volte contro la logica più elementare. Si fanno beffe degli altri, giocano come due bambine pasticcione e capricciose, non rispettano alcuna regola o convenzione sociale. Solo alla fine appare in filigrana un senso per tutto il minestrone che abbiamo visto durante il film. La pellicola è cioè una specie di protesta contro la società cecoslovacca dell'epoca, che rinchiudeva le persone in una gabbia di materialismo, di restrizioni alla libertà e di poche ed elementari idee politiche che andavano seguite. Elementari come i valori che venivano imposti: il culto del lavoro (anche se non si lavorava molto, per la verità), l'obbedienza, e la sottomissione al Partito, e la garanzia che così si troverebbe la felicità. Alla fine, questa fantomatica felicità viene nominata con evidente sarcasmo, e forse amara rassegnazione. In ogni caso sono fermenti di una società la quale, sotto la superficie, cominciava ad essere inquieta e che sarebbe approdata di lì a poco (1969) all'epoca di riforme (seguita poi dalla repressione sovietica nella cosiddetta Primavera di Praga). Oltre a ciò, la pellicola tradisce un impianto velatamente femminista e anarchico. Oltre a ribellarsi alla società, le due ragazze si ribellano anche agli uomini, e rivendicano in fondo una specie di autonomia.

Lo stile è caleidoscopico, sia appunto nel colore che nel montaggio. Si passa continuamente dal bianco e nero al colore, sia inteso come “colori” che come “unico colore”. Il montaggio assume in certi passi una frammentazione improvvisa e velocissima: vengono cioè inserite inquadrature degli oggetti più disparati o dei disegni più strani, la cui attinenza con le scene vere e proprie sarebbe invano cercare.

Forse il criterio che le regola è proprio il nonsenso, la bizzarria, la casualità.

Lo stile sperimentale e la mancanza di una struttura, come di una trama, non blandiscono certo lo spettatore. E' inoltre evidente che sia il montaggio che i cambi di colore siano fini a se stessi, che non corrispondano cioè ad un significato diretto. Questo secondo me è un limite del film, perché sostanzialmente si compiace di uno sperimentalismo portato all'estremo, e in fondo fine a se stesso. Tuttavia esso regge egregiamente per tutta la sua durata grazie alla prodigiosa fantasia che esibisce e alla versatilità delle due protagoniste.

 

 

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