Regia di Lasse Hallström vedi scheda film
Non è un paese per cani. Torna alle origini Lasse Hallström, con una vicenda di cinofilia garantita per spremere lacrime e mietere cuori. Fattosi notare nel 1985 con La mia vita a quattro zampe, lo svedese è stato assunto da Hollywood come confezionatore implacabile di film buoni per tutte le stagioni tenendosi sempre alla larga da qualsiasi accenno che potesse macchiare la sua nomea di specialista di drammoni dei buoni sentimenti e insipidi apologhi liberal. Nel mettere in scena la fedeltà di uno splendido esemplare di akita che attende il musicologo Richard Gere per anni alla stazione dopo la sua morte, Hallström ricorre ai peggiori stereotipi antropomorfi con tanto di soggettive animali in bianco e nero. Il “messaggio” è chiaro: Hachiko non è un “semplice” cane, ma un essere umano di quelli decenti, forse addirittura un angelo. Che il cane sia soprattutto una faccenda di alterità (e rispetto) non turba minimamente Hallström che non filma mai l’animale bensì lo stereotipo pubblicitario, ottenendo così l’effetto di non mettere mai scena il rapporto cane-uomo (dialettica) ma solo un patetico uomo-uomo (assioma). Sconcertante esempio di assolutismo antropomorfo, Hachiko. Il tuo migliore amico è solo un’implacabile macchina per facili commozioni pavloviane.
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