Regia di Martin Koolhoven vedi scheda film
I Paesi Bassi sono schizofrenici, come il resto d'Europa, quando si parla del secondo conflitto mondiale. Se Zwartboek (Black Book) rappresenta quello che il bellissimo Untergang (La Caduta) è stato in Germania, un'opera sentimentalmente revisionista, questo Oorlogswinter si schiera decisamente nella metà campo politically correct.
Quello che non convince è la costante esterofilia filobritannica con la quale vengono rimpinzati i ragazzi olandesi (e di mezzo continente) e questo film non fa eccezione. Il buon pilota inglese precipitato che farà da perno alla vicenda è l'efebico arcangelo Gabriele egli anni 40' in salsa piccante: fa all'amore con la pasciuta selvaggia (la sorella del protagonista), porta in dono carte da gioco osé e resta fedele a se stesso, impara giusto una parola autoctona per non sfigurare.
Che i tedeschi invasori siano ridotti a cattivi da videogioco è dir poco e lo zio collaborazionista è la figura, nel suo piccolo, più interessante: i primi sparano guardando negli occhi, il secondo verrà finito alla maniera dei codardi, é forse l'unica consolazione filosofica alla fine della fiera.
Non si può comprendere motivazioni e ambientazione se non si conosce la smisurata riverenza locale nei confronti della regina, fattore che differenzia velatamente le pellicole sulla resistenza oranje da quelle dell'establishment hollywodiano. Sotto sotto, la sequenza con il nazista che salva il ragazzino dall'annegamento resta quella più sincera.
Niente di scioccante, tutto sui binari, ritratto d'epoca neanche troppo preciso. Per un film unto e osannato in patria ci si aspettava di più. A parte l'irripetibile Spoorloos, il cinema olandese farebbe meglio a cimentarsi ancora con le biografie di Vermeer o, in alternativa, piantarla con la solita minestra.
E ridateci Rutger Hauer.
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