Regia di Alessandro Di Robilant vedi scheda film
Dopo alcuni anni di silenzio torna nel 2009 l'interessante Alessandro Di Robilant e lo fa con il suo film piu' riuscito. Penalizzato forse dal fatto di esser stato preceduto solo pochi mesi prima da un caposaldo del cinema-verita' come Gomorra (e per questo relegato ad una distribuzione del tutto approssimativa che ha disertato tutti gli schermi di provincia), Marpiccolo non e' per questo meno valido e sincero nel raccontarci una drammatica storia di vita, di formazione, di sopravvivenza dalla giungla di cemento e prevaricazione che incombe e condiziona la vita di un giovane diciassettenne come tanti; figlio della borgata, una selva di cemento dove i palazzi fatiscenti hanno pareti di cartone e le case vere, per meritarsele, bisogna obbedire e scendere a pesanti compromessi a vantaggio di chi si e' appropriato del mercato immobiliare, di quello dello spaccio di droga, e di ogni attivita' clandestina che occupa le esistenze dei molti disoccupati, Tiziano e' intelligente, andrebbe bene a scuola, ma si perde a ragranellare soldi con piccoli spacci e altre attivita' illecite. Deve infatti aiutare la madre ad arrivare a fine mese dopo che il padre, operaio e sindacalista un tempo stimato, e' caduto in depressione e dilapida la propria liquidazione con le macchinette della (s)fortuna. In una Taranto grigia e fumosa, tossica e maleodorante dove i giovani possono solo decidere se restare onesti e morire in fabbrica di tumori da fumi nocivi o darsi all'illegalita' della malavita dilagante, il giovane decide che deve fuggire, e progetta di scappare al nord con la sua ragazza. Ma l'ultimo colpo che e' obbligato a fare a causa di uno sgarro pesante fatto al giovane boss del quartiere, lo mette nei guai seri. Rinchiuso in un carcere minorile, trovera' la forza di resistere anche la' dentro alle minacce che la reclusione non gli risparmia. E trovera' la forza per rinnegare l'apparente benessere che trovera' all'uscita, quando scoprira' che i suoi familiari sono scesi a compromessi col boss per appropriarsi di una casa vera: fuggira' via, lontano, dove la vita e' ugualmente difficile ma le possibilita' di riscatto sembrano piu' raggiungibili.
Bello e riuscito come certi film documento di Capuano, che segnano la rivincita di un cinema-verita' che non racconta fronzoli ma rispecchia la drammatica realta' delle borgate dimenticate dalla legge, il film e' pure interpretato con grande credibilita' e sentimento dal protagonista Giulio Berenek che trova una insperata familiarita' con la propria drammatica situazione e forse un certo appagamento nella lettura del classico conradiano (e cinematograficamente coppoliano) Cuore di tenebra; non meno penetrante risulta la prova della madre-coraggio Anna Ferruzzo, una genitrice trafitta dal dolore e dall'ansia, ma che non si arrende neanche di fronte ad autorita' cieche e senza scrupoli che impongono la costruzione di pericolose antenne a ridosso di un asilo nido di borgata, la loro borgata, dove poco importa se si muore dopo una vita in fabbrica o dopo solo qualche anno di vita.
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