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Il concerto

Regia di Radu Mihaileanu vedi scheda film

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La recensione su Il concerto

di FilmTv Rivista
8 stelle

Raccontare la storia di un Giusto, anche quando la persecuzione è rossa e russa, si può. E si deve. Così come non si deve rievocare la cupa leggenda di Stalin per ricordare l’orrore, basta ritornare alla burocrazia del dolore e del razzismo di Stato di Brežnev. Puoi e devi se hai il talento di Radu Mihaileanu e ti dedichi da sempre al cinema delle diaspore, ai lati dolorosi e grotteschi dell’antisemitismo sistematico (Train de vie e Il concerto, appunto) senza la paura di guardarsi dentro (Vai e vivrai, la meglio gioventù d’Israele). Torna alla menzogna necessaria, Radu (il padre cambiò cognome per combattere e sfuggire a Hitler e Stalin) con un gioco pieno di grazia e ironia, trovando un’altra di quelle storie tragicamente irresistibili che solo nei regimi ottusi e violenti possono nascere. Che siano Racconti dell’età dell’oro di Mungiu e compagni o cartoline dalla DDR (da Goodbye Lenin a Zucker c’è solo l’imbarazzo della scelta). Al di là del muro ancora si raccontano, nella madre Russia molto meno. Qui abbiamo Andreï Filipov (Aleksei Guskov, perfetto), direttore d’orchestra che trent’anni fa si giocò la carriera e il concerto della vita per il rifiuto di rendersi complice dell’epurazione dei suoi musicisti ebrei. Non per eroismo, ma per amicizia ed egoismo artistico («erano i migliori, impossibile suonare Tchaikovskij senza di loro»). Il regime comunista lo umilia, lasciandolo nell’organigramma del Bolshoi, ma come uomo delle pulizie. E proprio spazzando sotto la scrivania del direttore intercetta un fax da Parigi. La tentazione di un colpo gobbo per ritrovare l’occasione perduta e riannodare i fili di una storia collettiva e privata (l’ottima Mélanie Laurent ne è l’inconsapevole centro) ci offre una commedia dolce e grottesca, a volte eccessiva (ma quando Mihaileanu non lo è?) in cui le debolezze umane, l’autoironia scorretta, etica ed etnica, la risata amara sono la cifra stilistica. La macchina da presa dà il meglio nel concerto finale e nella diaspora parigina di un’orchestra tanto scalcagnata quanto romantica.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 5 del 2010

Autore: Boris Sollazzo

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