Regia di Radu Mihaileanu vedi scheda film
Avvertenza per il pubblico: evitate, se potete, la versione italiana di questo film, ossia quella regolarmente distribuita nelle sale cinematografiche. Nel parlare de Il Concerto non si può infatti prescindere dal denunciare lo scempio compiuto in fase di doppiaggio: in un film popolato per il 90% da russi e per quel che resta da francesi, e in cui i primi hanno, di conseguenza, il 90% delle battute, i doppiatori italiani hanno avuto la demenziale idea di farli parlare tutti con un ridicolo accento russo maccheronico, anche quando parlano tra di loro (ossia per quasi tutto il film!), creando un devastante effetto caricatura, portato all'estremo in occasione dei dialoghi tra questi e i personaggi di lingua francese (regolarmente tradotti, codesti, in italiano). E' questo il grosso handicap della versione italiana del film, e, ovviamente, non è ascrivibile in alcun modo al regista, il rumeno Radu Mihaileanu già autore tra gli altri dell'ottimo Train de vie, datato 1998. Protagonisti, oggi come allora, sono un gruppo di ebrei, ex musicisti dell'orchestra del Bolshoi di Mosca cui la pertinacia dell'ex direttore dell'orchestra stessa (oggi relegato all'umiliante ruolo di uomo delle pulizie) dà l'opportunità di ripetere, a 30 anni di distanza, il concerto della vita al Théâtre du Châtelet di Parigi, a suo tempo oltraggiosamente interrotto dalla protervia del regime di Brežnev, con l'ulteriore imposizione di abbandonare la loro passione per la musica rinunciando ad ogni ambizione per vivere di stenti da ultimi della classe. La storia narrata è quindi edificante, il registro scelto quello grottesco già utilizzato con grande successo di pubblico e di critica oltre 10 anni prima nel raccontare le peripezie di quello scalcagnato treno di finti deportati. Il risultato è sopra la media ma in ogni caso inferiore a quello dell'illustre precedente, perché, se non è necessariamente un difetto il fatto che i personaggi siano quasi tutti (volutamente) sopra le righe, diviene limitante ai fini dell'attendibiità che le singole situazioni varchino quasi sistematicamente il confine del paradossale. Per tenere unite le singole parti servirebbe un'amalgama che per tre quarti di film non c'è verso di trovare: si procede a strappi da uno sketch all'altro, alcuni divertenti (esilarante quello con i rom che fabbricano passaporti falsi nella sala d'attesa dell'aeroporto) altri meno, e il ritmo latita un po', soprattutto nella parte centrale. Fino all'incredibile impennata finale: l'esibizione. Che senz'altro non è tecnicamentemente l'amalgama che si cercava, perché i buchi e le incongruenze fin lì riscontrati restano tali, ma ha la capacità, se non di annullare i difetti, sicuramente di alleggerirne di parecchio il peso specifico, in virtù dello strepitoso connubio tra la musica di Ciajkovskij e le intense immagini in cui Mihaileanu la traduce: 12 minuti di poesia, emozionanti e struggenti, durante i quali non si può non versare qualche lacrima, e alla luce (splendente) dei quali non si può non perdonare gli alti e bassi che li hanno preceduti.
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