Regia di Margarethe Von Trotta vedi scheda film
La vita di questa mistica medievale consente alla regista un’analisi sulla condizione femminile: pur negli angusti limiti del genere agiografico, emerge il ritratto di una delle menti più brillanti del suo tempo. Soggetta fin da bambina a fenomeni di tipo sovrannaturale (raccolti poi in volume), Hildegard von Bingen (1098-1179) fu infatti naturalista (decisiva la lettura del trattato di Dioscoride), consigliera politica e profetessa. Questa personalità così ricca di interessi e ammirata suscitava però anche malcelata invidia, sia da parte di alcune sue consorelle – specialmente l’amica d’infanzia Jutta, con cui di fatto è cresciuta in convento – che tra gli alti prelati, con l’eccezione di fratello Volmar, suo fedele alleato. Il mondo ecclesiastico dell’epoca non poteva ovviamente tollerare che un’umile suora di uno sperduto paesino della Renania acquisisse un tale consenso, al punto che il Sommo Pontefice appoggia in pieno la sua richiesta di far costruire un nuovo e più grande monastero.
Tra incontri importanti (Federico Barbarossa) e sinceri legami di affetto (la dolce novizia Richardis), la vita della religiosa testimonia quanto la società del tempo si preoccupasse di tenere sotto controllo il ruolo della donna: il suo comportamento non doveva mai risultare disdicevole agli occhi di Dio, come rammenta la madre badessa ammonendo sorella Hildegard, rea a suo dire di essere troppo allegra e disinvolta.
Le didascalie che indicano i luoghi abitati da questa monaca, vissuta in odore di santità, segnano le tappe della storia di un’anima alla ricerca di una scala per il Paradiso.
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