Regia di Michael Hoffman vedi scheda film
Dietro a un genio spesso c’è una donna insopportabile. È la Sindrome Yoko Ono, la nostra società maschilista ama personificare difetti e decisioni sbagliate non nell’idolo che venera, ma nella sua compagna. È evidente anche nel libro L’ultima stazione di Jay Parini e nell’omonimo film del medio e mediocre Michael Hoffman, che ricostruiscono l’ultimo anno di vita di Lev Tolstoj. Non più il grande autore di Guerra e pace e Anna Karenina, ma un guru che propugnava, nella “comune” di Jasnaja Poljana, la non violenza, l’avversione alla proprietà privata, un misticismo cristiano eretico e poco erotico (nonostante Kerry Condon). Ma è troppo intelligente per essere anche coerente. La chiave per guardarlo con partecipazione e allo stesso tempo distacco è Valentin Bulgakov (James McAvoy), segretario personale del maestro, e travolto da lui, dal suo ambiguo e ambizioso delfino (Paul Giamatti), dalla moglie Sofia Andreevna (una Helen Mirren dilagante), ancora disperatamente innamorata dello scrittore ma fiera oppositrice della sua rivoluzione senile. Voleva e poteva essere un film epico, etico e intimo, è solo una fiction in costume in cui nulla supera la bidimensionalità televisiva. Tanto rumore per nulla.
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