Regia di Alessandro Angelini vedi scheda film
La prima immagine di Sergio Castellitto al cinema risale al 1981, in TRE FRATELLI di Francesco Rosi era uno dei terroristi che nel sogno di Philippe Noiret attenta alla sua vita di giudice. In seguito ha conquistato il ruolo di comprimario di Mastroianni ne L’ARMATA RITORNA di Luciano Tovoli. Negli anni ottanta si è fatto le ossa girando tanti piccoli film, tra cui spicca la partecipazione vis a vis con Vittorio Gassman ne LA FAMIGLIA di Ettore Scola. Nei primi anni novanta raggiunge la popolarità televisiva con la serie UN CANE SCIOLTO, e le sue future incursioni nel piccolo schermo saranno sempre mirate e vincenti (DON MILANI, PADRE PIO, ENZO FERRARI). Come volto cinematografico si consolida con il tempo grazie ad una personalità da battitore libero differente dai suoi colleghi. LA CARNE di Ferreri, IL GRANDE COCOMERO della Archibugi, L’UOMO DELLE STELLE di Tornatore, A VENDRE della Masson, CATERINA VA IN CITTA’ di Virzì, L’ORA DI RELIGIONE e IL REGISTA DI MATRIMONI di Bellocchio. Nel 2009 l’attore romano incontra Alessandro Angelini, reduce dal bell’esordio L’ARIA SALATA, per la seconda opera intitolata ALZA LA TESTA.
Fiumicino. Antonio Mero è un carpentiere nautico che vive con il figlio adolescente Lorenzo. Separato dalla moglie albanese, egli è un ex pugile dilettante fallito che allena il figlio nello stesso sport nella speranza che diventi un campione. Testardo e ostinato Antonio cede il figlio alla palestra del più esperto Rinaldini, il quale ha i mezzi per farlo emergere. Il ragazzo infatti ha stoffa e comincia a vincere, conosce una ragazza rumena e se ne innamora. Antonio possessivo e iperprotettivo non apprezza. Il ragazzo fugge da un incontro di boxe, ha uno scontro con il padre e poco dopo muore in un banale incidente di moto. Il cuore di Lorenzo ora batte nel corpo di un trans Ivan/Sonia di Gorizia, per Antonio sarà un’ulteriore prova di coscienza da superare. ALZA LA TESTA racconta di un’Italia di periferia che non appare nelle cronache e nelle inchieste televisive, fino a quando non scoppiano tragedie e delitti. E la vita di Antonio Mero è la storia qualunque di un proletario del terzo millennio che vive di lavoro, magari in nero, di pochi ma buoni amici con cui cantare Franco Califano dopo aver fatto il pieno di malinconie e alcol. Amici e colleghi romani, rumeni e albanesi. La ex moglie è scappata via e l’ha lasciato solo con un figlio da crescere. Appare raramente e quando lo fa viene respinta ma non da Lorenzo. Quest’ultimo è un bravo ragazzo, anzi “un bambino”, conosce l’amore. Ma proprio con una rumena non va bene. Antonio sbaglia e forse non vuole che si ripeta ciò che è successo a lui. Fallito come pugile, come marito, come uomo ma non come padre. L’eccessivo istinto di conservazione degli uomini a volte crea danni. La tragedia è dietro l’angolo, qui il film poteva rischiare il melodramma patetico o il patetismo da fiction. Angelini, nonostante la giovane età, conosce la macchina cinema ed evita la trappola affidandosi da quel momento in poi al dramma disegnato sul volto di Antonio/Sergio Castellitto. La trasferta in un Friuli invernale non è discontinua ma lineare nello stile e nella drammaturgia. Antonio è un uomo istintivo e rude, un animale che annusa la persona che ha beneficiato del cuore dell’amato figlio. Questa fase è uno dei picchi del film: Antonio e Sergio attore sono un tutt’uno, scopre che Ivan Caneba è un barista trans di nome Sonia dalla vita più disperata della sua. Un va’ e vieni continuo che coincide con il non accettare il diverso. Dopo subentra la diffidenza, il conoscersi e l’aiutarsi. Reciprocamente. Negli ultimi minuti il film rischia di sbandare e deragliare sui binari del ridicolo e con lui Antonio/Sergio. Ma a questo padre deprivato dalla vita, “non me so mai goduto niente e non gli ho fatto mai gode niente neanche a lui” e che poi perde il figlio stesso giustifichiamo qualsiasi eccesso. A fin di bene sia chiaro, a favore della vita, quella mancata ai due Mero. Castellitto maturo e vero, Angelini una conferma. Nel gioco dei doppi meritano un applauso le prove mimetiche dell’attrice italiana di teatro Pia Lanciotti/Denisa la moglie albanese e la triestina/goriziana Anita Kravos quale impressionante Ivan/Sonia.
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