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Alza la testa

Regia di Alessandro Angelini vedi scheda film

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La recensione su Alza la testa

di giancarlo visitilli
8 stelle

Si attacca quando si impara a difendersi, dal quotidiano, dalla malvagità, dalle mancanze e da tutto quanto trabocca violenza. Torna il giovane regista del già bellissimo L’aria salata, Alessandro Angelini, con un altrettanto sorprendente film, che lascia il segno. Non svanisce facilmente dalla vista e dal cuore, lasciando le ferite e i duri colpi.

Alza la testa è la storia di Mero, un operaio specializzato in un cantiere nautico, che vive con suo figlio Lorenzo, nato da una relazione con una ragazza albanese. Per Mero Lorenzo è la sua unica ragione di vita, per il quale sogna che diventi un campione di boxe, riscattando la sua anonima carriera da figlio dilettante. Per ciò, tutti gli sforzi di Mero saranno utili per allenare suo figlio a vincere, non solo nella boxe, insegnandogli, giorno dopo giorno, a tirar pugni e a proteggersi dai colpi bassi della vita, girando e raggirando bene i colpi. Il problema è che il mondo che Mero sta costruendo intorno a suo figlio è racchiuso come nello spazio di un ring, fra lavoro, la scuola, allenamenti e serate trascorse con gli amici del cantiere, che sono la sua vera famiglia. E’ affascinante come il regista riesca a mettere in scena, di nuovo, la complicità maschile, utilizzando nuovamente un padre e un figlio, ma che avranno un destino diverso questa volta, rispetto a quello del padre-carcerato e il figlio-educatore de L’aria salata. Si tratta di un rapporto che, sebbene esclusivo, non è destinato a durare.

Il film di Alessandro Angelini ha tanti pregi, ma soprattutto quello di essere riuscito a raccontare una storia terribilmente drammatica, racchiudendola nello spazio di soli ottantasei minuti di pellicola. Un miracolo italiano, di ‘sti tempi!

L’ottanta per cento del film lo fa da solo l’interprete principale, l’eccezionale Sergio Castellitto, fra i pochi attori italiani che non fanno rimpiangere uomini-attori come Marcello Mastroianni. In questo film, interpretando il padre, riesce a mettere in atto tutte le fatiche relegate alla paternità difficile, che implica anche gli spossamenti e le critiche da parte di chi vi è attorno: “Cosa può insegnare Mero a quel ragazzo se ha alle spalle solo insuccessi? Meglio passare la mano a qualcun altro, qualcuno in grado di gestire al meglio quel talento”. Sono questi i colpi bassi che ogni giorno riceve e da cui spesso non sa difendersi, scaraventando i suoi tormenti e le sue paure nella sofferenza e nei pianti. Castellitto è uno dei pochissimi attori che sa piangere e far piangere al cinema: non è un pregio usuale nel nostro panorama, che è intriso di lacrime e piagnistei, ma che il più delle volte fanno ridere. Bravissimo anche il protagonista-figlio, Gabriele Campanelli, capace di mostrare sofferenza e incapacità di vita fra due mostri del cinema italiano, compreso il sempre bravo Giorgio Col angeli.  

La vita che costringe alla paternità o all’orfanità, alla fine, è quello che resta del film di Angelini. Tutto sperimentato a botte di ritmi o aritmie, avendo la macchina-cuore al centro dell’attenzione. Una macchina che ha i suoi fagocitati movimenti, come la stessa macchina da presa, utilizzata per lo più a mano, capace di costruire quadri, restringendo il campo o allargandolo, al confine sempre tra la vita e la morte. La stessa frequenza ritmica ch’è riscontrabile anche nel balbettare del talentuoso attore-figlio, le cui paure e speranze sono contrapposte con la freddura e i cieli plumbei da quartiere popolare in cui la storia è amaramente ambientata.

Angelini, come il Kim Rossi Stuart di Anche libero va bene, come il Gaglianone di Senza destino  e tanti altri film sulle dimensioni famigliari che mal conciliano con la società, da Ken Loach al Clint Eastwood di Million Dollar Baby, realizza un impedibile film per tutti quelli che sono convinti che, anche nel mondo del cinema, “Certe volte bisogna abbassà la testa pe’ cresce”.

Giancarlo Visitilli

 

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