Regia di Giorgio Diritti vedi scheda film
In questo film grigio come la pietra, come il fango, come le uniformi dei soldati, la tiepida asciuttezza del documentario è il vuoto in cui sprofondano le fredde spoglie del dolore. Il mutismo della piccola Martina è l’unico possibile commento al contagioso nonsenso dell’orrore; nell’inutile attesa di un riscatto o di una spiegazione, e di fronte al ripetuto negarsi della speranza, l’ostinato silenzio diventa una forma di resistenza passiva, di implicita ribellione, di rifiuto di dare espressione all’indicibile. Quest’opera mantiene un tono opaco e come soffocato, perché i crimini contro l’umanità sono perpetrati ai danni della gente semplice, nella cornice dimessa dei luoghi abbandonati. D’altronde l’atrocità si consuma in un secondo, nella durata di uno sparo, che giunge all’improvviso, e il cui eco si spegne immediatamente: è irrealistico, dunque, pensare di costruire una tragedia letteraria intorno ad un atto estemporaneo, concentrato in un attimo di brutale assurdità, che non ammette prologo né epilogo, ed è chiuso in se stesso, perché manca totalmente di storia e di ragione. L’idea dell’uomo che verrà è quindi un’utopia non tanto rivolta all’arrivo di un nuovo messia, di un messaggero di pace e un latore di gioia, quanto al ritorno di un’epoca in cui il tempo riprenderà il suo cammino continuo e coerente, e, come il passato sarà la premessa all’oggi, così il presente potrà dirsi davvero, concretamente, affacciato sul domani.
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