Regia di Giorgio Diritti vedi scheda film
La fine è tristemente nota.Ma la visione è se possibile ancora più dolorosa.Una strage nazista che sui libri è liquidata in due anonime righe elencando dati numerici agghiaccianti(più di 750 vittime tra donne,vecchi e bambini) assume contorni se possbili ancora più agghiaccianti.Fino a stasera non avevo capito quanta atrocità potesse essere racchiusa in due misere righe lette in un libro di storia.Ora grazie a questo film finalmente sono riuscito a visualizzare quello che per tanti anni per me è stato qualcosa di totalmente astratto legato a commemorazioni che mai in realtà mi avevano toccato profondamente. Come è riuscito stasera a fare questo film.Un opera di rigore stilistico assoluto che partendo da una realtà rurale così mirabilmente restituita ai nostri occhi racconta un episodio di tristezza infinita annidato tra le pieghe della Seconda Guerra Mondiale.Diritti impone una scelta linguistica purista usando il dialetto emiliano e preferendo di distribuire il film sottotitolato.Una scelta che non può non ricordare il suo maestro,quell'Ermanno Olmi che riecheggia più volte in questo e nell'altro film di Diritti quel Il vento fa il suo giro inaspettato successo legato al passaparola.L'uomo che verrà pur manetenendo il suo interesse per la comunità chiusa,isolata,come questa dei contadini dell'Appennino emiliano e come quella raccontata nel film precedente,appare film più rifinito nella forma,forte di un ambientazione rigorosa e ben caratterizzata.La vita dei contadini è ricreata nei minimi particolari con un aderenza totale alla realtà e si rivivono i riti della panificazione,della lavorazione del maiale e tutte quelle abitudini dei contadini di quel tempo.Una vita dura,segnata dal lavoro dall'alba al tramonto.Ammirevole è la scelta delle facce degli attori non professionisti,volti segnati dal tempo e dalla fatica ed ancora più ammirevole la pregevole amalgama che riesce a Diritti nel far recitare gli attori professionisti assieme a questi volti prestati al cinema.Quasi non si avverte lo scarto tra chi vive costantemente davanti alla macchina da presa e chi ha vissuto sempre nell'ombra.Indimenticabile lo sguardo profondo ed evocativo di Greta Zuccheri Montanari,la piccola Martina a cui è affidato il principale punto di vista del film.Il suo mutismo all'inizio ribelle poi quasi rassegnato permette di concentrarsi maggiormente su quello che la cinepresa ci mostra,senza intralci di voci off che si affannino a spiegare tutto.Il rigore stilistico di questo film non si deve limitare a riconoscerne solo la ricerca filologica e antropologica.Non è un documentario,qui il cinema vola altissimo a ricordare i maestri del passato,l'efferatezza dei crimini è resa rifuggendo totalmente la retorica,senza sonoro,in un flusso straniato di suoni distorti.Martina osserva tutto da lontano e la cinepresa con lei:i delitti efferati,le esecuzioni di donne e bambini,il rastrellamento,viene tenuto tutto in campo lungo,nel silenzio che diventa quasi fragore insopportabile,una scelta antispettacolare ma che dal punto di vista emotivo riesce a coinvolgere ancora di più.Credo che rimarrà a lungo davanti a i miei occhi l'immagine di quel bambino che cerca continuamente di scappare in avanti amorevolmente ricondotto nel gruppo dal parroco,quando i nazisti hanno rastrellato donne e bambini e li stanno portando al cimitero.Un film assolutamente da vedere,un film assolutamente necessario. E spero che Greta Zuccheri Montanari(neanche nominata sulla scheda) abbia un avvenire cinematografico luminoso come i suoi occhi.
un grande regista
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