Regia di Juan Josè Campanella vedi scheda film
Rafael si concentra sul lavoro e trascura gli affetti: una fidanzata forse inadatta, un’ex moglie e una figlia piccola, una madre malata di Alzheimer. Un infarto – e la ricomparsa di un vecchio amico, anch’egli provato duramente dalla sorte – fanno riconsiderare a Rafael tutta la sua vita.
La storia è intrigante, con un intreccio molto fitto e azzeccato, personaggi in tre dimensioni e dialoghi mediamente realistici, con una battuta perfino da incorniciare: “Dio non è vecchio o giovane, Dio non è uomo o donna, Dio non è bianco o nero”, dice il prete e il protagonista replica “No, quello è Michael Jackson”. Ecco, il protagonista: è Ricardo Darin l’altro valore aggiunto dell’opera, che dà vita a un personaggio piuttosto difficile, colmo di lati negativi e destinato a uno sconvolgimento psicologico a 180 gradi (cosa ardua da far accettare al pubblico). Al di là di questi evidenti meriti, che pochi non sono, Il figlio della sposa mette in scena una parabola con toni da La vita è meravigliosa (Frank Capra, 1946) e atmosfere dickensiane che possono qua e là urtare per via di un eccessivo sentimentalismo, di una ricerca del tocco melenso e patetico che vada incontro al singhiozzo dello spettatore; ma il realismo non abbandona mai del tutto la sceneggiatura del regista Juan Josè Campanella e di Fernando Castets, capace anche di descrivere una malattia atroce quale l’Alzheimer evitando il pietismo o la banalizzazione. Probabilmente senza lo scontato lieto fine il film sarebbe potuto essere molto più interessante: ma sarebbe anche stato altrettanto più coraggioso e, questo è certo invece, non sarebbe arrivato alla nomination per gli Oscar come miglior film mondiale. 5/10.
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