Regia di Michael Mann vedi scheda film
La meticolosa razionalità di un detective contro la follia criminale di un serial killer: storia risaputa, che però a metà degli anni ’80 il film di Mann rivivifica. Da una parte un uomo interiormente ferito, che si rimette in gioco per un inossidabile senso del dovere (anche andando contro la volontà della moglie) e da quel momento conduce le indagini con ogni scrupolo; dall’altra un avversario che ha perso il senso della realtà e stermina intere famiglie per alimentare il proprio ego. Checché ne dica il dottor Lecktor (sic), non si tratta di due facce della stessa medaglia: il Bene e il Male non si confondono, né si attraggono l’un l’altro come gli opposti. L’agente Graham, pur non essendo il tipico eroe senza macchia e senza paura, resta un individuo fondamentalmente sano: si immedesima nella mente del killer, gli si rivolge direttamente nei suoi soliloqui come se ce l’avesse davanti, ma da questo macabro gioco di ruolo esce fortificato, perché per lui l’esperienza del male ha un valore terapeutico; ed è giusto, è significativo che esorcizzi l’orrore (mai mostrato sulla scena) raccontando al figlioletto il suo primo incontro con Lecktor, spiegandogli in cosa consiste quel trauma che all’inizio viene dato come cosa nota. Ecco il motivo per cui Il silenzio degli innocenti non mi entusiasma: c’era già tutto qui, tranne l’interpretazione di Hopkins (che però si prende metà del film di Demme, mentre invece Brian Cox è solo un comprimario di lusso); anzi va perduto qualcosa di fondamentale, perché Clarice Starling non è reduce da un faccia a faccia con il mostro ma deve solo fare i conti con i propri fantasmi infantili. L’unica cosa che non mi convince è il personaggio di Joan Allen, la cieca con cui il killer ha un occasionale incontro amoroso: lo riduce a una dimensione casalinga, gli toglie grandezza e ne evidenzia in modo troppo esplicito le turbe sessuali.
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